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La Yamaha R7 GYTR, proprio come la R7 base, è spinta da un bicilindrico da “solo” una settantina di cavalli, ma vanta ciclistica ed equipaggiamenti da vero mezzo da corsa. E, soprattutto, correrci costa relativamente poco. Idea azzardata o colpo di genio? È quello che siamo andati a scoprire in pista al Mugello.

Testo: Aigor Foto: Fotoeventi, I.B.

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Inutile negarlo. Avendo superato i cinquant’anni e avendo vissuto in prima linea l’epoca d’oro del mondiale SBK, ho provato un tuffo al cuore quando, l’anno scorso, Yamaha aveva annunciato la rinascita della mitica R7 – l’homologation special con motore 4 in linea da 750cc che, guidata in gara dal funambolo giapponese Noriyuki Haga, aveva fatto sognare schiere di smanettoni nel periodo tra la fine degli anni 90 l’inizio dei 2000.

Giusto il tempo di leggere comunicato stampa e scheda tecnica, però, e come molti ero rimasto un po’ deluso nello scoprire che la nuova R7 non sembrava molto più che una versione carenata della naked entry level MT-07, con annesso motore bicilindrico parallelo da soli 73cv. E come molti l’avevo catalogata come un’altra, innocua, rappresentante della categoria delle sportive stradali da principianti. Sul genere delle varie Kawasaki Ninja 650 o Honda CBR650R per capirci, ovvero moto pensate più per la comodità e la sfruttabilità nel Mondo Reale, che non per la guida all’attacco.

Sensazioni inaspettate: abbandonando i pregiudizi

Avanti veloce di qualche mese, ormai mi ero quasi dimenticato dell’R7, bollandola come un giocattolo poco interessante per uno smanettone, finché Yamaha non ci aveva invitati alla presentazione stampa nel sud della Spagna.

E lì era arrivata l’inaspettata “rivelazione”: altro che entry level stradale con poche pretese. Una volta in sella avevo scoperto che ciclistica, ergonomia e assetto dell’R7 erano vicinissimi a quelli di un’R6, al punto che, con mia grande sorpresa, ero rimasto maggiormente impressionato dalla moto durante la parte nel test svolta in circuito, ad Almeria, che non sui percorsi da pieghe delle zone limitrofe. Improvvisamente avevo anche riscoperto il piacere di tirare al limite una moto con prestazioni “umane”, sfruttandone il motore fino all’ultimo cavallo, senza dover far sempre conto sugli aiuti dell’elettronica e avendo a disposizione un pacchetto ciclistico all’altezza di qualsiasi strapazzo dell’uso tra i cordoli.

In definitiva, come successo a tanti, pure io all’inizio ero rimasto infastidito e avevo nutrito pregiudizi nei confronti dell’R7, probabilmente dettati dalla delusione di non vedere quella sigla nuovamente associata alla punta di diamante della produzione sportiva Yamaha. L’avessero chiamata R5, per dire, forse l’equivoco non sarebbe nato, e magari molti avrebbero approcciato l’idea della nuova R7 con lo stesso atteggiamento che ho avuto io dopo averla provata in pista. Una race replica “entry level”, certo, con un motore da soli 73cv. Ma pur sempre una race replica vera – non una stradale camuffata – con tutti i contenuti che servono per andare forte in circuito.

Dalla carta al trofeo

Giusto per ribadire il concetto, proprio mentre eravamo alla presentazione stampa di Almeria a fine 2021, Yamaha aveva ipotizzato la nascita di una nuova serie monomarca dedicata all’R7 – in versione GYTR -, e di lì a poco la cosa si era ufficialmente concretizzata, con l’R7 Cup che nel giro di pochi mesi si è affermata come un grande successo nel campo dei trofei amatoriali, con un gran numero di partecipanti in varie nazioni europee.

I motivi di tanta popolarità – non così scontata per un trofeo all’esordio? Per cominciare, i costi contenuti, sia per quanto riguarda l’acquisto della moto (sui 9.000 euro), sia per la partecipazione al campionato. E poi il fatto di correre con moto praticamente identiche, con possibilità di modifica limitate al kit di componenti fornito con l’iscrizione, prestazioni accessibili a qualsiasi livello di pilota, e la trovata di disputare una gara nella cornice della WSBK, con anche una Super Finale a Barcellona, pure quella in concomitanza col weekend del mondiale delle derivate di serie, per eleggere il supercampione continentale tra i migliori piloti di tutte le R7 Cup nazionali.

Due Yamaha R7: Stock vs GYTR

Se avete letto i numeri passati di SuperBike Italia, avrete notato che abbiamo seguito con particolare interesse l’andamento del trofeo qui in Italia, e a forza di parlarne… beh sapete come vanno queste cose: ci è venuta l’acquolina in bocca. “Pronto, Yamaha? Avremmo una data libera di prove libere al Mugello. Non è che ci dareste una R7 preparata da trofeo da provare? Magari insieme a un’esemplare di serie, giusto per capire la differenza…”

Detto fatto, eccomi insieme a Lore sulla pitlane del circuito più bello del mondo, pronto per passare una giornata tra i cordoli con un gusto un po’ differente dal solito. Basteranno poco più di 70 cavalli per farci divertire su un asfalto dove di solito sfoghiamo la furia di motori dotati del triplo della potenza?

Riscaldamento?

Gomme Dunlop D212 GP Racer per entrambe le moto, via specchi e portatarga anche sull’R7 di serie, e si comincia. Pur avendola già guidata in pista ad Almeria, decido di cominciare la giornata con la moto stradale per avere un riferimento fresco rispetto alla versione da gara che proveremo dopo e… beh, i primi giri sono un po’ uno shock. A memoria, credo sia la prima volta in vita mia che entro al Mugello con una moto da meno di 100cv, e direi almeno una quindicina d’anni che non lo faccio con una da meno 150 – è tutto così diverso che mi sembra di guidare su una pista nuova.

Con l’uso del gas non ci sono problemi – ci metto mezzo giro per capire che con l’R7 non serve usare quelle buone maniere che, elettronica o meno, su una maxi occorrono sempre. Ma alla terza staccata in cui mi ritrovo praticamente fermo a trenta-quaranta metri dalla curva che dovrei approcciare, decido che l’unica strategia efficace per evitare di vagare a caso per tutta la giornata, sarà resettare i riferimenti acquisiti in anni di pratica sul circuito toscano.

Il lato positivo è che, dal momento in cui mi ci applico, la curva di apprendimento dura pochissimi giri, perché la moto non solo è facilissima da gestire, grazie alla limitata potenza e all’erogazione super regolare del bicilindrico parallelo, ma offre contenuti da vera sportiva da pista, che quindi non richiedono particolari adattamenti o scelte di compromesso nella guida.

Sensazioni da race replica

La posizione in sella, per dire, è molto aggressiva, con l’avantreno bello carico, che permette di entrare bene in confidenza con l’avantreno, le pedane alte e arretrate, che non danno problemi di luce a terra, e un assetto che, irrigidito rispetto alla configurazione stradale, non va in affanno nel reggere i ritmi della guida tra i cordoli.

Un dettaglio non da trascurare è che, pur avendo dovuto azzerare tutti i riferimenti per le staccate e l’uso delle marce – al Mugello si usano solo terza e quarta su tutto il circuito, a parte il rettilineo dei box – dopo circa cinque giri del primo turno con l’R7 di serie, credo di stare già sfruttando almeno al 90% delle potenzialità della moto; divertendomi e “giocando” con gli altri piloti presenti in pista (siamo ovviamente nel turno degli amatori) in sella a moto ben più potenti. Non è un dettaglio poco, se si pensa che con un’R1, nelle stesse condizioni, sulla stessa pista e con gli aiuti elettronici attivi, avrei messo la firma per arrivare a sfruttarla all’80% a fine giornata…

A passeggio sul rettilineo dei box

In definitiva, l’R7 mi era già piaciuta in occasione del test all’Andalusia Circuit di Almeria, ma in quel caso si era trattato di un tracciato molto tortuoso, più adatto a una piccola cilindrata che non a una maxi. Al Mugello invece non si fanno sconti, ma sono ugualmente impressionato da come la Yamaha vada bene e non soffra poi così tanto la poca potenza del motore. Ok, il rettilineo dei box è frustrante – la velocità di punta dell’R7 è sui 210km/h effettivi, con le maxi che invece passano agilmente i 290 – e confesso che mi girano un po’ le balle a dover star spalmato in carena contando i lunghissimi secondi che mi separano dalla staccata della San Donato, mentre vengo sverniciato da gente che magari ho superato all’esterno un paio di curve fa.

Ma almeno, per la prima volta in vita mia, ho tempo di godermi la bellezza dello scenario del rettilineo del Mugello, ammirando colline e tribune mentre sono a tutto gas. Sul serio, non ci avevo mai fatto caso prima d’ora, tutto preso dall’ansia di posizionarmi bene su una SBK replica in vista della terrificante impennata a 280 sullo scollinamento dopo l’uscita dei box, e del successivo approccio al punto di staccata da 300km/h della San Donato.

Due correzioni: semimanubri e freni

A parte questo, ci sono solo un paio di cose che correggerei dell’R7 nell’ottica dell’uso al limite in pista. Uno riguarda l’apertura dei semimanubri, che come da tradizione Yamaha, sono un po’ stretti e spioventi, limitando il senso di controllo generale e il braccio di leva nei cambi di direzione. L’altro ha a che fare coi freni, che pur avendo buon gioco nel gestire staccate da velocità non eccessive e poco peso da fermare (188kg col pieno) hanno caratteristiche chiaramente stradali, in particolare per il fatto di dover tirare forte la leva per ottenere tanta potenza frenante.

Un po’ a sorpresa, invece, non ho grandi lamentele sulle sospensioni. Sarà che sono piuttosto leggero (70kg a pancia piena), ma non ho neanche notato quella tendenza del posteriore a sedersi che invece mi ha riferito Lore – che però pesa qualche chilo più di me. In ogni caso, è il momento di entrare con la moto da trofeo.

R7 GYTR: piccola lama

Rispetto all’R7 di serie, la cosa che noto subito salendo sulla GYTR è quanto sia più rigida di assetto. I semimanubri sono più aperti, esattamente come piacciono a me, ma le pedane arretrate del kit e il mono Öhlins fanno sì che la posizione di guida sia più estrema, con la moto che tende a rimanere più alta sotto al mio peso e trasmette una sensazione di minor feeling immediato. Del resto, è lo scotto da pagare quando si approccia un mezzo da corsa: non è pensato per “funzionare” quando si va piano. E in ogni caso, anche qui, il tempo necessario per prendere le misure al pacchetto è infinitamente inferiore rispetto a quello di qualsiasi sportiva più grossa. Due o tre giri al massimo e sono già lì a darci dentro e a esplorare le capacità al limite di questo giocattolino da trofeo.

Le differenze tra l’R7 GYTR e la base

Iniziamo dal motore. La rapportatura è la stessa dell’R7 di serie, per cui l’unica differenza è data dalla presenza dell’impianto di scarico Arapovic compreso nel kit. E in tutta sincerità, dovrei fare un esercizio di fantasia per dire che le sensazioni all’apertura del gas sembrino così diverse tra le due moto. Quando io e Lore ci ingarelliamo sul rettilineo, notiamo che la versione da trofeo va un po’ più forte, nel senso che mentre quest’ultima, sfruttando la scia dell’altra, verso i 150kmh/h di tachimetro prende l’abbrivio e passa di slancio, lo stesso non avviene a moto invertite.

Ma non cambia il succo della questione. Nella migliore delle ipotesi ci saranno non più di 3 o 4 cavalli di differenza a favore dell’R7 da gara, per cui la tattica per andare forte rimane la stessa: occorre guidare per stare più tempo possibile col gas al 100%, frenando meno possibile, facendo scorrere tantissimo la moto a centro curva e riaprendo a tutta ancora prima di essere completamente dritti.

In rettilineo serve anche tenere d’occhio il contagiri, perché se è vero che nel resto del circuito i passaggi tra terza e quarta vengono abbastanza naturali, sul drittone dei box l’erogazione del bicilindrico è talmente piatta e regolare che, a orecchio, non fa capire chiaramente quando sia il momento di cambiare. Nel dubbio, meglio anticipare di un migliaio di giri, visto che dai 5 ai 9.000 la spinta è praticamente la stessa.

Ciclistica da riferimento

Discorso diverso per quanto riguarda la ciclistica. Come detto, la presenza del mono Öhlins non solo irrigidisce il pacchetto, ma porta ad avere anche una moto più alta, il che eleva sensibilmente i limiti dell’R7 in ogni fase di percorrenza della curva, con possibilità di raggiungere angoli di piega e velocità di percorrenza ancora più impressionanti. Caso mai ce ne fosse bisogno, ne ho la riprova quando, per passare un tizio su una maxi che mi sta facendo imbestialire, mi lancio al Correntaio abbandonando la mia comfort zone, ritardando la staccata di una decina di metri ed entrando ad almeno una quindicina di km/h più di quanto fatto finora.

Insisto coi freni a moto già bella piegata, chiudo ulteriormente la traiettoria e… beh, l’R7 GYTR non si scompone di un millimetro, rimanendo stabile e precisa sulla linea che ho in mente di farle fare, e facendomi capire che è meglio che riapra il gas, e che lo faccia tanto e in fretta, per evitare di finire come un fesso a chiudere la curva sul cordolo interno.

I turni successivi mi servono più che altro per capire che, se con la moto di serie ero arrivato a sfruttarne le potenzialità in pista non lontano dal 100%, con quella da trofeo le possibilità di spingersi più in là nell’osare a ogni curva, sono nettamente superiori. E capisco anche che, disponendo del giusto manico, i tempi sull’ordine del 2’04” fatti segnare al Mugello dai migliori dell’R7 Cup, sono effettivamente alla portata di un pacchetto così ben focalizzato sulla performance.

Quindi, come sono?

Un paio di note prima di concludere. Equipaggiata con pastiglie racing Brembo Z04 e tubazioni in treccia, l’R7 da trofeo frena effettivamente meglio di quella di serie. E se è vero che rimaniamo lontani dai riferimenti degli impianti da SBK replica top di gamma, considerando quanto poco bisogna frenare per andare forte con un moto così, la cosa non rappresenta un problema.

Un effetto collaterale della maggior altezza della moto da gara, invece, lo abbiamo notato sia io sia Lore sotto forma di una leggera perdita di maneggevolezza nei veloci cambi di direzione. Soprattutto alle Biondetti e alla Casanova Savelli, ci siamo accorti della necessità di un po’ più di forza su pedane e semimanubri per far voltare l’R7 da trofeo rispetto a quella di serie. Parliamo pur sempre di una moto molto agile e leggera, quindi nulla di realmente critico, ma è comunque curioso trovare una sportiva che in versione standard si lasci sbatacchiare tra le curve meglio della sua omologa da gara.

Sull’R7 da trofeo, per finire, nel primo turno della giornata abbiamo riscontrato un bel po’ di chattering dell’avantreno, che abbiamo mitigato mettendo mano al set-up della forcella e alla pressione della gomma anteriore. Anche qui, parliamo delle classiche finezze da aggiustare durante le prove libere di un weekend di gara, e che danno comunque l’idea di quanto sia sensibile alle regolazioni una moto fatta per dare il meglio nell’uso in pista.

R7 GYTR: quasi meglio di una maxi?

In definitiva, casomai non si fosse capito, guidare l’R7 in versione base e GYTR al Mugello è stata un’esperienza illuminante. Molto diversa dal fare lo stesso con un mezzo da 200cv, ovvio, ma non per questo meno divertente, coinvolgente e appagante. Meno adrenalina, meno velocità, tempi sul giro più alti, ma allo stesso tempo molto meno impegno fisico e mentale, più consapevolezza delle proprie capacità di guida e quella piacevole sensazione che sulle maxi moderne spesso va un po’ persa. Quella di essere voi a condurre i giochi sulla vostra moto, e non il contrario.