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Yamaha prende la sua naked MT-07 e la trasforma in una sportiva da pista riesumando il nome della leggendaria R7. Errore clamoroso o colpo di genio fenomenale? Aigor è andato a scoprirlo, in strada e in pista, sotto il sole dell’Andalusia. Eccovi dunque la nostra prova della Yamaha R7.
Testo: Aigor Foto: Yamaha
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Inutile girarci attorno. Pure io, come penso gran parte dei motociclisti sportivi che hanno passato gli ’anta, ho provato un tuffo al cuore quando, a maggio di quest’anno, Yamaha ha annunciato l’arrivo di una nuova supersportiva identificata dalla sigla “R7”. In un attimo mi sono passate davanti agli occhi le immagini del funambolo giapponese Noriyuki Haga, mentre nel 2000 si giocava il mondiale SBK in sella alla versione da gara della leggendaria YZF-R7. Una Homologation Special spinta da un motore 4 cilindri 20 valvole da 750cc, che Yamaha aveva costruito con l’unico e dichiarato scopo di conquistare il titolo delle derivate di serie. E per gli appassionati quella moto si trasformò subito in un’icona.
L’R7 originale
Per la cronaca, l’R7 alla fine non riuscì a vincere il mondiale SBK (tra mille polemiche, Haga fu fermato sul più bello nelle ultime gare del campionato 2000 dopo essere risultato positivo all’efedrina, una sostanza dopante). E, a dirla tutta, l’R7 stradale non era nemmeno capace di difendersi in una comparativa contro le avversarie dell’epoca, Ducati 996, Suzuki GSX-R750, Honda SP1. Concepita come pura e semplice base su cui montare il kit racing ufficiale, in configurazione di serie la Yamaha tirava fuori non più di un centinaio di cavalli, arrivando quindi a giocarsela giusto con le 600 Supersport.
Ma a parte le considerazioni sull’opportunità del “non conoscere i propri eroi”, l’R7 originale era tanto bella, rara e irraggiungibile (fu prodotta in 500 esemplari, commercializzati al mostruoso prezzo di 50 milioni di lire) da diventare in men che non si dica una specie di mito. Ed ecco dunque spiegata la vena di delusione con cui io, e molti di quelli che a inizio secolo erano già in giro a fare gli stupidi con le supersportive, abbiamo scoperto che l’R7 2021, invece che una riedizione del modello originale, sulla carta sarebbe stata null’altro che una MT-07 – la naked entry level di Yamaha – camuffata da race replica con carene, semimanubri e un po’ di dotazioni extra.
Beh, in realtà la questione non è così semplice. E adesso che ho concluso la prova posso dirlo: la nuova Yamaha R7 è una moto molto più interessante di quanto pensereste limitandovi a leggere la scheda tecnica.
Perché R7!?
Almeria, sud della Spagna. Conferenza stampa della sera che precede il test della nuova R7. La domanda che praticamente tutti noi giornalisti abbiamo pronta è talmente ovvia che i tecnici Yamaha ci anticipano, inserendola tra le prime slide della presentazione. “Perché l’abbiamo chiamata R7? Primo, perché il motore è un 700cc, quindi il nome R7 era naturale. Secondo, perché il target di pubblico a cui si rivolge sarà costituito in maggioranza da giovani e principianti, ovvero gente che, secondo le nostre ricerche, dell’R7 originale conosce a malapena l’esistenza.” Sarà che mi sono scolato due birre nel rinfresco pre-conferenza stampa, ma la spiegazione mi sembra avere senso. Un attuale 20-25enne nel 2000 era appena nato, ed è improbabile che il nome R7 gli evochi gli stessi fremiti eccitati che ispira in noi motociclisti un po’ più, ehm, “maturi”.
Yamaha R7: una media sportiva d’accesso
Detto questo, i responsabili Yamaha ci mostrano in che modo l’R7 si va a piazzare nella famiglia delle sportive di Iwata. In breve, con l’R6 ormai commercializzata solo in versione da pista e non omologata per l’uso stradale (adeguarla all’Euro 5 sarebbe stato troppo penalizzante per le prestazioni e l’erogazione del 4 cilindri 600), c’era da colmare un buco nel listino tra la piccola monocilindrica R3 e l’ammiraglia 4 cilindri R1. Ed ecco quindi l’R7, una media sportiva d’accesso, con prestazioni alla portata di qualsiasi polso, ma dotazioni più vicine a quelle di una vera race replica come l’R6, che non alla MT-07 da cui deriva.
Motore, ciclistica e dotazioni
Se dunque il bicilindrico parallelo crossplane da 689cc è circa lo stesso dell’ultima MT (quindi adeguato all’Euro 5 con aggiornamenti all’aspirazione, alla centralina e all’impianto di scarico), la ciclistica e l’ergonomia sono state riviste abbastanza profondamente, nell’ottica di fare dell’R7 qualcosa di più della classica, morbida media sportiva da principianti. Nello specifico, arrivano una nuova forcella rovesciata da 41mm completamente regolabile e un mono dotato di un nuovo leveraggio (per alzare il posteriore); inoltre, sono state riviste le geometrie e la triangolazione pedane-sella-manubrio, accorciando l’interasse, caricando l’avantreno e, in generale, sacrificando la postura rilassata della MT-07 in favore di una posizione di guida più aggressiva e sportiva. In un’immagine che ci viene mostrata, con l’R7 sovrapposta in trasparenza all’attuale R6, è sorprendente notare come l’ergonomia delle due moto sia quasi identica. L’R7 però è più stretta – addirittura più dell’R3.
A completare il quadro degli upgrade rispetto alla MT, abbiamo pinze freno radiali, pompa Brembo, frizione antisaltellamento, una finale leggermente più lunga (un dente in meno di corona, per aumentare la velocità massima raggiungibile grazie alla migliore aerodinamica) e la possibilità di montare un quickshifter (senza blipper) come optional.
In definitiva, ok abbiamo pur sempre “solo” 73cv dichiarati, ma in Yamaha sembrano aver fatto le cose per bene. E ammetto che la mia diffidenza si sta pian piano trasformando in curiosità. Anche perché, sinceramente, non so cosa aspettarmi da una moto così…
Prova Yamaha R7: sulle strade dell’Andalusia
Il programma del test prevede un tour mattutino di 120km sulle strade dell’Andalusia cui seguiranno nel pomeriggio alcune sessioni in pista sul circuito, ehm, “dell’Andalusia” – un nuovo tracciato realizzato all’interno del complesso dell’autodromo di Almeria.
In attesa di partire per la prova, mentre osservo da vicino le Yamaha R7 allineate nel parcheggio dell’hotel, la percezione da fuori è di una moto di livello superiore rispetto alle tipiche sportive entry level. Il frontale, il codino e il design generale, molto “R6”, supportati da dettagli come le pinze radiali o la gomma posteriore da 180mm, danno come risultato un insieme dal look sexy e minaccioso – come è giusto che sia per una moto così.
Una volta in sella le sensazioni iniziali sono contrastanti. La seduta non è bassa e rassicurante come sulla MT-07, anche se è comunque così stretta tra le gambe da consentirmi di poggiare bene i piedi per terra. Le pedane sono alte, il manubrio basso e spiovente, e le sospensioni non sono per nulla morbide o sfrenate. Wow! Il lato positivo della questione è che l’R7, si capisce subito, non si limita a “imitare” una sportiva – per capirci, non fa come la Honda CBR500R o la Kawasaki Ninja 650, che hanno posture molto più rilassate e set-up più morbidi.
Il lato negativo è che, più o meno come se fossi su un’R6, dopo neanche venti minuti di guida nel traffico inizio a sentire i primi fastidi a polsi e ginocchia. Lo so, è un problema mio, che non sono più un ragazzino, e immagino che gli utenti medi dell’R7, dotati di giunture e legamenti ben più freschi dei miei, non ci faranno più di tanto caso. Ma, per dire, nell’uso stradale anche moto come la Panigale V4 o la S1000RR sono più accoglienti di questa Yamaha.
Niente elettronica
Finite le lamentele da vecchio rimbambito, è una boccata d’ossigeno scoprire che sull’R7 non devo perdere tempo a regolare alcun parametro elettronico. Niente traction, niente mappature, niente anti impennata da disinserire – la scelta di Yamaha di rinunciare a qualsiasi supporto tecnologico del resto è sensata, considerando che il cuore lì sotto, il CP2 dell’MT-07, è uno dei motori più dolci e prevedibili del panorama delle medie cilindrate.
Prova Yamaha R7: il motore
In breve, parliamo di un propulsore da 73cv che coniuga brillantezza, flessibilità e sfruttabilità in un mix ben bilanciato, col sistema di fasatura crossplane che unisce la dolcezza tipica dei bicilindrici paralleli a una dose di brio da V2 sportivo. In soldoni, dai 3.500 ai 9.000 giri avete a disposizione una spinta praticamente costante, con un leggero cambio di passo tra i 6 e gli 8.000 e la possibilità di aprire il gas senza rifiuti o sussulti già sotto i 3.000.
Con un range di erogazione così ampio, sia che stiate trotterellando nel traffico, sia che vogliate attaccare le curve di una strada da pieghe, potete ridurre al minimo l’uso del cambio, pensando solo a ruotare l’acceleratore quanto serve e godendovi la regolarissima curva di coppia. E non crediate che con soli 73cv si parli sempre e comunque di un motore troppo lento per i ritmi di guida da sportiva “vera”. Ovvio, sul dritto e negli spazi più aperti la mancanza di potenza si sente, peraltro amplificata dal fatto che su una race replica la percezione di velocità è minore che su una naked, per cui, al di là della rapportatura più lunga, la vivacità nel prendere giri del CP2, sull’R7 fa meno “scena” che sulla MT.
Ma a parte questo, più le sequenze di curve sono strette e ravvicinate, più il bicilindrico riesce a sopperire con la sua coppia ai bassi e medi alla mancanza di cavalli agli alti, rendendo facile tenere alti i ritmi con la stessa marcia inserita e piuttosto naturale (e gratificante) sfruttare il supporto dell’agilissima ciclistica per aggredire le curve.
Assetto e freni
A proposito di aggredire le curve, tra le note positive che mi sono appuntato, l’assetto di serie dell’R7 sembra davvero azzeccato per la guida sportiva stradale. Chiaramente più sostenuto rispetto a quello della MT-07, non va in affanno quando i rimi si alzano, nemmeno sui tratti più veloci. E allo stesso tempo non è così rigido da restituire reazioni poco controllate sulle sconnessioni dell’asfalto. Bene anche la scelta delle gomme di primo equipaggiamento, le Bridgestone S22, coperture sportive “tuttofare” ampiamente a loro agio nel garantire il grip e il feeling che servono per strapazzare l’R7 senza patemi.
Tra le note negative, a parte il discorso della scomodità – durante il giro mi sono trovato più di una volta a sgranchirmi ginocchia e polsi, discretamente indolenziti – l’unica cosa che non ho trovato all’altezza del resto della moto sono i freni. Saranno anche arrivate la pompa Brembo e le pinze radiali, ma potenza e mordente, soprattutto a freddo, non sembrano tanto superiori a quelli dell’MT-07. Come sempre, visto che l’impianto sulla carta non sarebbe male, immagino che già montando pastiglie più aggressive la situazione migliorerebbe. Ma così com’è, l’R7 richiede tanta forza sulla leva e una certa pianificazione per restituire frenate degne dell’uso sportivo. Il che, sinceramente, su una moto di questo tipo è meno accettabile che su una naked entry level.
Prova Yamaha R7: sulla pista dell’Andalusia
Con un po’ di supponenza, non mi aspettavo fuochi d’artificio dall’R7 in circuito. E invece, complici una ciclistica agilissima e decisamente a suo agio nella guida al limite, gomme Bridgestone R11 da pista e un tracciato super tecnico e tortuoso, con gran parte delle curve precedute da scollinamenti o visuali cieche, non mi vergogno ad ammettere di aver passato uno dei pomeriggi motociclistici più spassosi da tempo immemore; tutto preso a strapazzare l’R7 come probabilmente non sarei riuscito a fare con una maxi, e concentrato sullo sfruttare al 110% la cavalleria a disposizione.
Dopo aver investito l’intero primo turno a trotterellare dietro all’apripista Yamaha per memorizzare ogni singola traiettoria – passaggio fondamentale per pensare di andare forte sul circuito dell’Andalusia – dal secondo turno in poi è tutto un “full gas-staccatona-piega orecchie a terra” ripetuto in loop dal primo giro della prova alla bandiera a scacchi, con la Yamaha R7 che, più la maltratto, più sembra stare al gioco.
Inutile negarlo: i “soli” 73 cavalli, messi a terra peraltro con un’erogazione melliflua, sono un grande aiuto nel consentirmi di ribaltare l’acceleratore fuori da ogni curva quasi in modalità on/off, cercando di sfruttare ogni rimasuglio di spinta per guadagnare qualche chilometro di velocità sul successivo rettilineo. Ma l’assetto dell’R7, stabile e con reazioni prevedibili, ci mette del suo nel convincermi a tenere sempre più spalancato anche in un paio di passaggi del tracciato dove l’istinto di autoconservazione suggerirebbe un po’ meno entusiasmo. Sono anche piacevolmente impressionato da come la moto entri in curva, inizialmente fulminea e con un buon feeling dall’avantreno, e poi con tanta luce a terra per descrivere traiettorie scorrevoli e mantenere alta la velocità di percorrenza.
Le prestazioni dei freni in pista
Ho detto “buon feeling”, e non “ottimo”, perché, come su strada, le prestazioni dei freni sembrano un po’ sottodotate rispetto al resto della moto, sporcando un pochino la fluidità di guida negli ingressi più tirati. La staccata più dura del circuito arriva alla fine del rettilineo principale, dove bisogna passare da circa 200km/h a poco più di 60 scalando tre marce: con un impianto così morbido nella risposta devo tirare con tanta forza la leva per ottenere la potenza necessaria, e finisco per avere meno controllo, perdendo anche la possibilità di osare qualcosa di più coi freni in mano a moto piegata. Un vero peccato, perché, pur mancando il blipper, in staccata la frizione antisaltellamento funziona in maniera inappuntabile, anche scalando senza troppi convenevoli.
Prova Yamaha R7: quindi, com’è?
Iniziamo dicendo che l’R7 si è rivelata una moto un po’ diversa da come me la sarei aspettata. È una sportiva accessibile a qualsiasi polso, perché il motore da 73cv la rende davvero facile da gestire, ma alcune sue caratteristiche non sono da… moto da 73cv. A parte l’estetica, da race replica di livello, l’ergonomia e la competenza della ciclistica sono molto più vicine a quelle di un’R6 di quanto potreste pensare. Il che fa una gran differenza in una categoria dove quasi tutte le avversarie sembrano più delle naked con carene e semimanubri (alti) che non delle vere sportive.
Per quanto riguarda il motore… beh, è tutto fuorché eccitante o adrenalinico, ma non vuol dire che non ci possiate andare forte e non possa farvi divertire, in particolare sulle strade (e sulle piste) con tante curve e pochi rettilinei. I freni sono l’unico vero neo, mentre il fatto che manchino gli aiuti elettronici non è un problema e, quasi dimenticavo, le epiche attitudini impennatorie della MT, seppur mitigate dalla rapportatura più lunga e dal maggior carico sull’avantreno, non sono del tutto scomparse.
Per chi è pensata l’R7?
In definitiva, una sportiva diversa da tutto quanto avevamo visto finora, sicuramente degna di essere presa in considerazione per chi voglia fare un esordio sensato e non traumatico nel mondo delle race replica. Ovviamente, la grande domanda sarà: com’è rispetto all’Aprilia RS660? Beh, diciamo che l’Aprilia ha dalla sua un motore decisamente più potente e coinvolgente, ma la Yamaha sotto certi aspetti è anche più specialistica e, con un prezzo di listino di 8.999 euro, è più accessibile e probabilmente più sensata per un principiante. E per un non principiante? Se volete una vera moto da pista da sfruttare al 100% su un bel tracciato guidato, divertendovi come matti e senza arrivare a fine giornata esauriti fisicamente e mentalmente, l’R7 è probabilmente la miglior scelta che possiate fare.
Prova Yamaha R7, la tecnica:
CICLISTICA
Confermata la struttura del telaio in tubi d’acciaio, cambiano le geometrie e la posizione di guida (molto simile a quella dell’R6) nell’ottica di favorire la guida sportiva. L’interasse scende a 1.395mm (-5 rispetto alla MT). Grande attenzione è stata prestata a limitare gli ingombri laterali: l’R7 non solo è più stretta della R6, ma anche della R3. Il peso è di 188kg (+4 rispetto alla MT).
MOTORE
Il motore è sostanzialmente il CP2 dell’ultima MT-07. Stiamo dunque parlando di un bicilindrico parallelo da 689cc con fasatura a 270° “crossplane”, capace di 73,4cv e 67Nm. Le modifiche rispetto al precedente motore riguardano l’uso di una nuova ECU (con setting dell’iniezione rivisto), condotti di aspirazione ottimizzati e un nuovo design dello scarico in ottica Euro 5. Rispetto alla MT, l’R7 monta una frizione antisaltellamento e ha una finale leggermente più lunga (-1 dente di corona).
ELETTRONICA
Considerando la limitata potenza del motore, Yamaha ha preferito limitare al minimo la dotazione elettronica, al fine di contenere il prezzo della moto. Le uniche concessioni alla tecnologia sono date dal cruscotto LCD, dalla presenza dell’ABS e dai fari a LED. Il quickshifter (senza blipper) è opzionale.
SOSPENSIONI E FRENI
Le sospensioni non saranno molto appariscenti ma sono comunque di buon livello. Davanti c’è una forcella a steli rovesciati da 41mm completamente regolabile, dietro un mono regolabile in estensione e precarico, con un nuovo leveraggio che consente di alzare il posteriore e caricare maggiormente l’avantreno. Discorso opposto per i freni: davanti abbiamo dischi da 298mm e pinze radiali a quattro pistoncini con pompa radiale Brembo. Belli da vedere, ma le prestazioni non sono così superiori a quelle dei freni della MT-07.