Non capita tutti i giorni di andare a fare shopping di nuove moto da pista, ma questa è la situazione in cui si è trovato il nostro pilotino Tim al circuito Paul Ricard, con a disposizione l’intera gamma Yamaha di modelli con specifiche GYTR

Testo: Tim Neave, Aigor Foto: Yamaha

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Al giorno d’oggi sono diverse le Case motociclistiche che offrono un più o meno ampio catalogo di accessori “factory” per elevare le performance delle proprie supersportive di serie, ma c’è un marchio, Yamaha, che da qualche anno ha iniziato a prendere la cosa molto sul serio, mettendo a disposizione del pubblico una gamma di parti racing in grado di trasformare qualsiasi modello della serie R in un vero mezzo da pista senza compromessi.

Il tutto col valore aggiunto di componenti già provate e messe a punto per ogni moto, e quindi con la garanzia di risultati sicuri, affidabilità e possibilità di procedere per step a seconda del livello di elaborazione a cui ci si intende spingere.

Seguendo le orme delle prestigiose parti speciali a marchio YEC, l’introduzione del programma GYTR (Genuine Yamaha Technology Racing) ha portato sul mercato un’offerta sempre più ampia, più sofisticata e più facilmente disponibile di prodotti per incrementare le prestazioni, permettendo di ritoccare tutti i modelli Yamaha, dall’R3 fino all’R1, con un’offerta onnicomprensiva, che va dalle teste dei cilindri, alle pedane, alle centraline racing, a particolari da veri pro, come il kit di montaggio della pinza posteriore ribassata.

Da R a arma da pista

Molto semplicemente, se possedete una Yamaha e volete farne un’arma da pista, non dovete fare altro che dare un’occhiata alla vasta gamma di materiale disponibile al sito www.yamaha-racing.com. C’è da restare a bocca aperta per cosa e quanto c’è in offerta, ma è anche comprensibile che in alcuni sorga la domanda legittima su quale differenza facciano davvero tutte queste parti su una moto.

Valgono davvero l’investimento? Quali prodotti hanno il miglior rapporto prezzo-prestazioni? Per rispondere a queste domande mi trovo al Paul Ricard, in Francia, per provare l’intera gamma di serie R marchiate GYTR in confronto con quelle standard. Vi chiederete anche: perché proprio io ho avuto questa fortuna? Beh, negli ultimi anni ho corso in BSB in sella a delle R1 sia nel campionato Superstock, sia in Superbike; quindi, un’idea su cosa aspettarmi da una vera Yamaha da corsa dovrei essermela fatta. E poi ho incontrato un ragazzo turco, un tale Toprak Razgatlioglu, che mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto fare un po’ di giri con lui sul circuito francese, visto che lui non lo conosce molto bene… Ok, la smetto

R6 Race

Per dare il via al test e prendere confidenza col circuito, inizio a sgranchirmi in sella all’R6 Race. Costa 14.199 euro e, a dispetto del nome che porta, è in realtà un’R6 ultima serie con solo alcune parti estetiche non essenziali rimosse – targa e specchi – e carene nere senza scritte – tanto le sostituirete.

Come saprete, l’R6 ormai non è più acquistabile nel nostro continente come moto stradale a causa dell’impossibilità di ottemperare alle normative Euro 5 mantenendo prestazioni decenti per il motore, quindi se proprio ne volete una, ora la trovate solo come mezzo da pista in questa configurazione: in pratica, una base da cui partire per sviluppare una vera Supersport.

Sebbene non monti nessuna parte GYTR, l’R6 Race è comunque un discreto giocattolo per cominciare. Tenete presente che è pur sempre una base stradale, quindi con ABS e dotazioni di serie, e infatti dopo pochi giri inizio a sentire le prime proteste in risposta ai miei strapazzi. I freni, per dire, non sono il massimo in pista: un pilota medio da trackday probabilmente non lo noterebbe, ma quando mi metto a fare sul serio sento che la leva pulsa quasi a ogni staccata per l’intervento dell’ABS, ed è un intralcio. Idem per le pastiglie freno standard: a metà turno mi trovo a dover regolare la leva per quanto si è fatta spugnosa.

Limiti di un 600 di serie

A parte i prevedibili limiti del pacchetto di serie, è la prima 600 che guido dal 2018 e mi stupisce quanto sia leggera e facile da spingere al limite. I cambi di direzione, in particolare, sono un sogno: dopo anni in sella a moto di grandi dimensioni, sono incredulo per la naturalezza con cui posso letteralmente posizionare l’R6 ovunque io guardi. Come feeling e sensazioni di guida, penso che sia davvero un ottimo punto di partenza per chi si approccia alla pista.

Per il motore, valgono le considerazioni fatte per i freni: l’impressione è che il 4 cilindri, che monta un impianto di scarico in configurazione Euro 4, sia un bel po’ strozzato. A parte il sound timido per un 600 plurifrazionato, l’erogazione della potenza non è particolarmente reattiva e la progressione agli alti sembra un po’ piatta, come se al motore mancasse del tutto la possibilità di “esplodere” verso la zona rossa.

Insomma, una valida base che però, così com’è, rimane un potenziale inespresso. Per fortuna, quando rientro ai box, mi viene subito proposta la soluzione.

R6 GYTR

Permettetemi di dare il benvenuto all’R6 GYTR. Giusto il tempo di mollare in pitlane l’R6 Race e saltare in sella alla GYTR per provarla e parlarvene e… WOW, che razza di differenza! Per prima cosa, si percepisce subito che il motore, ora con scarico racing, è finalmente libero di esprimersi al meglio: la differenza di prestazioni è davvero come passare dalla notte al giorno, secondo i tecnici Yamaha addirittura nell’ordine dei 10-12cv alla ruota – che su un totale di circa 120 sono davvero tanti.

Ringrazio Akrapovic per il suo scarico full-race (con un sistema mid-pipe per soddisfare i limiti di rumorosità delle piste) e la ECU GYTR con relativo cablaggio, che consente la mappatura completa di carburazione e anticipo, la regolazione del freno motore e l’eliminazione dell’ABS. Capite che se ci mettiamo pure un tris catena-corona-pignone alleggeriti con passo 520 e pastiglie freno Brembo Z04, ecco che ci troviamo tra le mani una vera arma.

E l’elenco degli upgrade non è finito… Nel menù abbiamo infatti anche il tappo del serbatoio a sgancio rapido, tubi freno in treccia, cover pignone, pedane rialzate e arretrate, kit di carene e sella da corsa verniciate GYTR, supporti posteriori per il cavalletto e, ciliegina sulla torta, il kit Öhlins composto da mono TTX36GP V2 cartuccia forcella NIX30.

Assetto svedese

Le sospensioni standard non erano male sull’R6 Race (soprattutto all’avantreno, davvero ottimo), ma qui siamo proprio su un altro pianeta, con un pacchetto studiato per andare alla ricerca di precisione e confidenza per attaccare una curva, dare gas e avere un setting perfetto per peso e stile di guida. Attenzione: occorre darci dentro per iniziare ad apprezzare i vantaggi di sospensioni così corsaiole, e non sono certo che un amatore medio ci si troverebbe meglio fin da subito, rispetto alla dotazione di serie dell’R6 Race.

Per capirci, se siete amatori di medio livello, che al Mugello faticano a scendere sotto il 2’10” con una 1.000, è probabile che delle Öhlins così pregiate non vi farebbero sentire molto più a vostro agio, se non settandole molto morbide. Ma a quel punto, tanto varrebbe restare con le sospensioni di serie.

Per il resto, la sella race in neoprene offre quell’extra grip per restare ben connessi col sedere nelle pieghe più aggressive e anche questo è un tocco in più che mi aiuta a dare il massimo nei giri di prova.

Yamaha GYTR: chicche giustificate?

Capitolo pedane: queste da corsa sono nettamente migliori delle standard. Sono leggere, regolabili e con tanta tenuta sotto la suola, particolare importante per avere il feeling ottimale quando ci si muove fuori dalla sella. Anche il kit completo passo 520, con la giusta rapportatura, dà il suo contributo, permettendomi di utilizzare la marcia più corretta ovunque: non solo la moto è più reattiva nel rispondere al gas, ma pure la velocità massima si alza sensibilmente.

Passando alla cassa, a partire da 19.999 euro, la Yamaha R6 GYTR viene fornita già assemblata con buona parte degli upgrade sopra menzionati (non le Öhlins), ma ovviamente ci sono ancora molte altre parti disponibili, il che significa che potrete sempre scegliere di realizzare e ottimizzare la moto a seconda delle vostre esigenze e capacità.

La grande domanda però riguarda il rapporto prezzo/risultati: 5.800 euro in più rispetto all’R6 Race sono un esborso giustificato? Se volete una vera moto da corsa come Dio comanda, la risposta è sì. Già solo per la trasmissione passo 520, l’impianto Akra racing e il kit ECU con cablaggio, la spesa sarebbe più che giustificata, perché parliamo di componenti che cambiano radicalmente le prestazioni dell’R6, e i singoli pezzi costerebbero in totale ben di più. E nel prezzo ci sono molte altre chicche, senza contare il risparmio di tempo e arrabbiature nel dover smontare e rimontare la moto e far funzionare tutto come si deve.

R7

Di tutte le moto disponibili in questa prova, quella che mi incuriosisce di più è l’R7. Primo perché l’ultima volta che ho guidato in pista una bicilindrica di media cilindrata risale al 2014, anno del mio esordio nelle gare; secondo perché tutti i miei colleghi che l’hanno provata me l’hanno descritta con un semplice superlativo: divertentissima! Ovviamente inizio con l’R7 di serie.

Dopo essermi fatto un turno abbondante sull’R6 GYTR non mi aspetto grandi cose in termini di prestazioni ma, trattandosi di una moto totalmente differente, voglio mantenere un atteggiamento aperto, privo di preconcetti e accettare ogni sensazione che l’R7 saprà darmi.

Prima sorpresa: la posizione di guida è da vera sportiva – molto simile all’R6. Alta di sella, ma senza esagerare, ha i semimanubri bassi e spioventi che ti portano a caricare molto peso sull’avantreno. Su strada non sono sicuro che sarebbe comodissima, ma in pista è perfetta. Il livello di prestazioni è più che sufficiente per non sfigurare. Poco più di 70cv possono sembrare un’inezia per una sportiva, e ovviamente l’R7 non sarà mai a suo agio sui tracciati con lunghi rettilinei, ma se devo essere onesto in uscita di curva il motore mi sorprende con più coppia e brio ai medi regimi di quanto non mi aspettassi. La ciclistica non è male per una sportiva entry level: le sospensioni sono troppo morbide per reggere decorosamente gli strapazzi, ma si sente che telaio e geometrie sono validi.

Limiti da sportiva entry level

Se devo essere critico, il cambio mi piace poco. Manca di scorrevolezza e velocità negli azionamenti, ma è pur vero che sono in pista e le mie aspettative hanno preteso un quinta-seconda già alla prima staccata del primo giro, e questo è pur sempre il cambio di una MT-07… L’ABS, come ampiamente prevedibile, diventa invadente in caso di frenata brusca, aggravato dal fatto che la forcella, carente di supporto, non aiuta.

La cosa sicura è che comunque, capito fino a dove posso spingermi, inizio a divertirmi a sbattere l’R7 qua e là tra le curve, e trovo che tutto sommato questa bestiolina potrebbe essere davvero una perfetta via d’accesso alla guida in pista per qualsiasi principiante.

È godibile, istruttiva e con una potenza e un prezzo accessibili. A 9.799 euro credo che sinceramente sia difficile fare meglio.

R7 GYTR

Passare sulla Yamaha R7 GYTR, subito dopo aver guidato la versione stradale, mi dà la sensazione di un salto davvero netto – probabilmente il più netto di tutte le moto provate oggi. Al contrario di quanto accade con l’R6 e l’R1, al momento non è possibile acquistare l’R7 già assemblata in versione GYTR; quindi, è compito di chi acquista procedere a configurare e allestire la moto standard secondo i propri desideri.

Ciò che potete comprarvi è il pacchetto “R7 Cup”, un insieme di parti per trasformare un’R7 in pronto gara, secondo le specifiche del campionato. E questa è esattamente la configurazione di moto che sto provando.

Yamaha R7 GYTR: da stradale a pistaiola

Anche in questo caso la somma dei componenti dà un risultato brillante. Il kit Öhlins racing con cartuccia forcella e mono ha risolto alla radice il problema del supporto in frenata, dandomi la sicurezza per tenere il gas ribaltato fino a una frazione di secondo prima del momento di staccare, per poi tuffarmi in curva alla massima velocità possibile. In generale le sospensioni più rigide (e le relative regolazioni applicate) migliorano nettamente il feeling, l’agilità e la stabilità dell’R7, facilitando i rapidi cambi di direzione e la tenuta delle traiettorie.

Mentirei però se dicessi che tutto è perfetto. Fin da subito soffro per la presenza di chattering all’anteriore, specie quando percorro le curve più lunghe e veloci sul bordo più esterno della gomma, ma riesco a risolverne buona parte con un po’ di precarico e di estensione, tutto grazie alle regolazioni ricettive e fini delle sospensioni. Certo, un ammortizzatore di sterzo sarebbe gradito, poiché sento qualche scossone di troppo mentre salto sui cordoli attraverso le chicane.

Staccate e ripartenze

I freni invece sono immensamente migliorati con la semplice aggiunta delle pastiglie Brembo Z04, mentre l’emulatore all’ABS ha messo fine a tutti quegli interventi a sproposito. Il risultato è che ora posso prendermi ogni tipo di libertà in qualsiasi situazione in cui la leva del freno anteriore sia chiamata in causa.

La frizione antisaltellamento funziona davvero bene e così mi diverto, giro dopo giro, a scalare tre marce il più velocemente possibile all’ingresso della prima curva, mollando la frizione e lasciando scivolare il posteriore per buona parte della fase di frenata – qualcosa che non mi viene altrettanto facile e naturale con moto più grandi. Ma del resto la grande figata di guidare una Yamaha R7 GYTR rispetto alle 600 e alle 1000 è che ci si può davvero permettere di violentarla a ogni curva, visto che trovarne il limite è facile e divertente.

La posizione di guida è ancora migliore rispetto alla moto standard, grazie alla sella GYTR abbinata alle pedane arretrate, mentre il quickshifter in modalità “race” è un ottimo supporto nell’uso al limite. Certo, il cambio resta lo stesso dell’R7 standard, ma la trasmissione con passo 520 è super scorrevole e regala un altro po’ di prestazioni, il che non guasta mai.

Per quanto riguarda il motore, il miglioramento più consistente è imputabile alla rimappatura della ECU, perfettamente accordata all’impianto di scarico Akrapovic, intervento che rende l’erogazione più corposa e fa salire la velocità massima. Mi dicono che in questa configurazione il biciliondrico parallelo arrivi a erogare circa dieci cavalli in più e non fatico a crederci, anche perché al salire dei giri la differenza con il motore dell’R7 base (quasi senza fiato in zona limitatore) è lampante. A naso direi che siamo sui 75cv alla ruota contro i 65 del motore omologato Euro 5.

Considerazioni a fine turno

Finiti i giri di prova, parcheggio in pitlane e guardo bene questa belvetta, alla ricerca di altri dettagli che la rendono più racing rispetto all’R7 stradale. Vedo delle protezioni al carter motore e alla leva freno, distanziali alleggeriti predisposti per il cambio rapido delle ruote, tappo a sgancio rapido del serbatoio, semimanubri racing, ganci per cavalletto, adesivi antiscivolo per il serbatoio, pulsantiera racing al manubrio, accensione senza chiave e infine le carene da corsa con livrea GYTR.

C’è di che sentirsi dei veri pilotini, ma se poi volete davvero distinguervi dalla massa potete acquistare anche le carene grezze e farvele verniciare a piacimento. In linea di massima, quindi, i miglioramenti apportabili alla Yamaha R7 con gli accessori GYTR sono molti e consistenti: a voi la scelta del come e del quanto, consapevoli che ogni parte possa dare del suo, senza rimpianti dopo l’acquisto.

R1

Attualmente sto correndo con una Yamaha R1 nella BSB Superstock; quindi, ho un’idea più che chiara su cosa aspettarmi dalla versione Yamaha GYTR, poiché molte delle parti montate sono le stesse della mia R1 da corsa. Detto questo, sono secoli che non guido in pista un’R1 stradale, per cui sono curioso di scoprire come se la cavi.

Avendo passato le ultime due ore tra R6 e R7, la prima sensazione che ricavo girando sull’R1 è di stabilità. In confronto alle sorelle di cilindrata inferiore la definirei… “solida”. In aggiunta, quando mi metto a tirare, non riscontro né vibrazioni né qualche accenno di movimenti scomposti come sull’R7. Penso che sia primariamente una questione di peso e di pneumatici più larghi, ma in generale sono sorpreso da come l’R1 di serie sostenga senza affanni i miei strapazzi in ingresso e in uscita dalle curve.

Crossplane incazzato, ABS bocciato

Pur aspettandomi la furia del motore crossplane, guidare l’R7 prima dell’R1 ha amplificato la mia sensibilità e ora mi sembra di muovermi a una velocità smodata. Ammetto di sentire il bisogno di riadattarmi un attimo. Sull’infinito rettilineo del Paul Ricard (lungo quasi 2km, nella configurazione scelta per testare le R1) il tachimetro si ferma a trecento orari, ma il motore spinge ancora come una furia; quindi, immagino che vedrei almeno i 320km/h al punto di staccata.

Velocità di questo tipo richiedono freni da riferimento, e l’impianto di serie dell’R1 non è tra i punti di forza del pacchetto. Sinceramente, non fosse per il solito ABS, la frenata non sarebbe così male, ma di sicuro è la prima area su cui interverrei con le parti GYTR, perché per quanto facciano il loro lavoro, le componenti di serie non sono all’altezza delle parti Brembo proposte come upgrade.

Compromessi stradali

Dettaglio curioso, stranamente trovo l’R1 più costrittiva per i movimenti rispetto all’R7 GYTR. La cosa mi lascia sconcertato, ma dopo un po’ è evidente che le pedane e la sella di primo equipaggiamento, a causa dei loro compromessi stradali, mi obbligano a una posizione non ideale per la guida al limite, che mi limita nei movimenti, specie nei cambi di direzione.

Intendiamoci, per essere una sportiva di serie, venduta a 20.699 euro, l’R1 standard non solo è un vero missile, ma mette anche sul piatto un’elettronica capace di renderla accessibile a vari livelli di piloti. Ma dentro di me so che potenzialità abbia questa moto una volta liberata dai vincoli stradali. E non vedo l’ora di riscoprirlo col primo step di elaborazione del catalogo GYTR.

R1 GYTR

Non si dice forse che il meglio viene sempre alla fine? Sì, posso confermarlo. Dopo essermi riscaldato con le piccole R6 e R7, la Yamaha R1 GYTR è la vera prelibatezza, ma da dove comincio? Già in pitlane, ancor prima di entrare in pista, il feeling all’acceleratore è tutta un’altra storia. La risposta è raffinata come la seta e l’attacco è meno aggressivo rispetto alla moto standard. L’apertura delle farfalle, inoltre, mi sembra molto più lineare, come se tra la mia mano e la manopola ci fosse un rapporto paritetico di 1:1.

Tanto chiedo tanto ottengo, con una naturalezza che eclissa il gas dell’R1 stradale, condizionato dai limiti e dai compromessi delle varie omologazioni. Il feeling immediato che ottengo deriva principalmente da questa precisione nella risposta del motore, ma anche il cambio con blipper si distacca anni luce dall’R1 standard: a ogni cambiata ci metto meno della metà dell’impegno di prima e in compenso ho dei passaggi di marcia super scorrevoli.

Mi dicono che i summenzionati miglioramenti sarebbero dovuti alla centralina Yamaha GYTR e al cablaggio racing, con quest’ultimo che elimina tutti i cavi stradali non necessari, semplificando la gestione elettronica e alleggerendo il carico di lavoro della ECU. L’ulteriore beneficio è poter modificare quasi ogni parametro di funzionamento del quattro cilindri – mappe di anticipo, carburazione, acceleratore, freno motore, controllo di trazione, impostazioni del cambio rapido, pit limiter e… l’elenco potrebbe continuare.

Questa nuova centralina è un grande passo avanti rispetto a quella base e ha l’effetto di migliorare nettamente la risposta del motore e liberarne completamente le potenzialità. Ovviamente il tutto è stato mappato per rispondere al meglio in abbinata allo scarico full race Akrapovic in titanio (anche qui provvisto di silenziatore centrale per rispettare i limiti di rumorosità), restituendo le massime performance possibili.

Cose da sportiva racing

Come per le due sorelline, anche sulla Yamaha R1 GYTR la sella più alta porta una posizione di guida con maggiori libertà di movimento, e il pacchetto comprende anche le protezioni motore, pedane e semimanubri racing, tappo del serbatoio a sgancio rapido, accensione senza chiave (c’è solo un grande pulsante on/off), supporti per il cavalletto da paddock, tubi freno in teflon rivestiti in treccia d’acciaio e pastiglie Brembo Z04.

La trasmissione (con catena 520 con specifiche da gara e corona e pignone alleggeriti) consente di adattare la rapportatura finale a qualsiasi pista, mentre la carenatura in fibra di vetro (più leggera di quella di serie) è disponibile in bianco, pronta per l’applicazione di ogni livrea da gara personalizzata. Quanto costa questo ben di dio? Beh il prezzo definitivo non è per così dire popolare, essendo fissato a 27.999 euro, ma le considerazioni relative alla bontà di questa realizzazione sono in linea con quelle fatte a proposito dell’R6 GYTR, con pari benefici nel comprare la moto già pronta in termini di risparmio economico e di qualità della messa a punto.

Ulteriori potenziamenti da pista

In ogni caso, per chi volesse fare davvero sul serio, la Yamaha R1 GYTR così kittata può diventare un’ulteriore base per spingersi ancora più in alto. In Yamaha, evidentemente, volevano farci provare il massimo con questa moto, quindi hanno aggiunto alcune chicche extra.

Se pensate che il kit di cartucce Öhlins non sia all’altezza delle potenzialità del vostro manico, il catalogo propone la forcella FGRT 219, completa di piedini ricavati dal pieno, che è ovviamente un gradino superiore. Al posteriore viene abbinato un altrettanto raffinato mono Öhlins TTX36GP.

Per le regolazioni mi sono fatto fare una configurazione intermedia e così (lo dico senza esagerare) mi sono ritrovato in pista con un pacchetto ciclistico incredibilmente efficace, molto vicino a quello della mia R1 da gara, tanto che non ho sentito il bisogno di affinare ulteriormente le regolazioni. Sostegno, precisione, stabilità, agilità e, ovviamente, tutta la velocità extra garantita dal CP4 in configurazione libera – ecco cosa offre la Yamaha in questa configurazione.

Ciliegina sulla torta, sulla Yamaha R1 GYTR del test mi sono trovato montate delle pinze Brembo GP4RX, che oltre a essere sexyssime, in accoppiata con le pastiglie racing Z04, la pompa Brembo Corsa Corta e i dischi T-drive da 320mm, permettono di arricciare letteralmente l’asfalto a ogni staccata e scordare qualsiasi considerazione sui limiti in frenata dell’R1 rispetto alle altre SBK Replica.

Yamaha R1 GYTR, dettagli che fanno la differenza

Tra le tante chicche, apprezzo sinceramente il kit Yamaha GYTR dedicato alla frizione antisaltellamento, che include i distanziali e le molle della frizione, migliorando le prestazioni in inserimento curva, specialmente nelle staccate in cui occorre scalare tante marce in poco tempo. Il gas elettronico a corsa ridotta, per parte sua, permette di non dover dare troppo incomodo al polso destro per aprire a tutta, mentre gli interruttori del manubrio con specifiche da gara e la verniciatura GYTR rendono questa moto un vero mezzo da gara, pronto per essere schierato in qualsiasi competizione senza necessità di alcuna altra aggiunta o messa a punto.

È chiaro che ogni singola parte è stata armonizzata allo scopo di migliorare le prestazioni a tutto tondo. E a fine giornata non ho dubbi: l’R1 GYTR è di gran lunga la moto su cui deciderei di investire i miei soldi. Come rapporto valore/prezzo è davvero eccezionale.

R1 GYTR Pro

Proprio quando pensavo di aver finito per la giornata, essendo stato tra i più veloci con l’R1 (e vista la mia esperienza in BSB) vengo invitato a guidare il nuovissimo prototipo di Yamaha R1 GYTR Pro. Per dirla in poche parole, è praticamente una moto da Mondiale Superbike, ma la cosa interessante è che ogni singolo componente con cui è realizzata è disponibile per l’acquisto tramite uno dei GYTR Pro Shop presenti anche in Italia.

Trovo assolutamente incredibile che materiali di tale livello siano ora accessibili a tutti. La selezione la farà il prezzo, ma di fatto chiunque, avendo un portafoglio ben fornito, si potrà costruire la propria superbike con un’interminabile lista di parti a catalogo.

Sei giri a tutta

Sei giri sono tutto ciò che mi viene concesso in sella a quest’arma, e capisco subito di essere seduto su qualcosa di molto speciale: la posizione di guida è diversa persino rispetto alla Yamaha R1 GYTR. C’è una sella speciale sorretta da un telaietto in fibra di carbonio, entrambi sviluppati per Toprak in WSBK. Mi sento molto più in basso, ma soprattutto molto più “dentro” la moto, mentre il serbatoio SBK posiziona la massa del carburante più giù, all’interno del telaio e sotto la sella per mantenere il centro di gravità più costante e basso possibile.

Le sensazioni che ricevo dal quickshifter e dal blipper, ma in generale dal cambio, sono letteralmente roba di altro pianeta – è così incredibilmente preciso, reattivo e scorrevole, impossibile anche solo pensare all’eventualità di un impuntamento. La forcella Öhlins FGR400 SBK di diametro maggiorato montata su piastre lavorate a CNC e con offset regolabile rende gli ingressi in curva insensatamente chirurgici e granitici allo stesso tempo, mentre il forcellone SBK con capriata inferiore – super rigido – porta ai massimi termini stabilità, manovrabilità e precisione, sia in piega, sia in rettilineo, alle velocità più elevate.

In generale, la moto comunica imperturbabile solidità abbinata a un livello di sensibilità e dettaglio inavvicinabili a qualsiasi prodotto che non sia direttamente uscito da un vero reparto corse.

Yamaha R1 GYTR Pro, interventi da capogiro

Non conosco le specifiche esatte del motore, ma ne ha sicuramente molto di più rispetto a quello della Yamaha R1 GYTR. Si parla di oltre 220cv alla ruota, con interventi su alberi a camme, guarnizione testa, filtro dell’olio, radiatore GYTR Pro e frizione Suter, e direi che il dato è assolutamente in linea con le mie sensazioni. Detto questo, la moto ha anche un diverso scarico completo Akrapovic, mentre l’elettronica è gestita da una centralina Magneti Marelli. Questa unità è molto diversa dalla GYTR e deriva direttamente da quella in uso al team Yamaha WBSK: praticamente una versione “neutra” di quella che usa Toprak; quindi, adatta a situazioni un po’ meno estreme rispetto a quelle di un team mondiale.

Alla fine, purtroppo, i giri disponibili sono insufficienti a capire e sfruttare a dovere questo ulteriore step elettronico – la sensazione più netta è di una specie di riduzione nella sensibilità alla connessione dell’acceleratore ogni volta che mi trovo ad aprire quando sono sul lato della gomma. Sembra quasi che l’elettronica manifesti una sua volontà di prevalere sulle mie decisioni, rifiutandosi di concedermi quel pizzico di potenza in più se non al momento in cui riduco di qualche punto il mio angolo di piega.

Si potrebbe definire come una sorta di rete di sicurezza, probabilmente stabilita dai tecnici Yamaha per consentire al pilota di usare il gas quasi in modalità on/off, e sono sicuro che mi basterebbe più tempo per capire come avvantaggiarmene. Le ruote alleggerite Marchesini contribuiscono ad abbassare ulteriormente la massa, aiutate da carene in fibra di carbonio extra resistenti.

WSBK disponibile al pubblico

In generale, non ho dubbi nel dire che la Yamaha R1 GYTR Pro sia una moto fuori categoria, e non esagero nell’aggiungere che sia il pacchetto più avanzato e con le specifiche più alte che abbia mai guidato, quindi posso solo ringraziare Yamaha per avermi permesso di giochicchiarci un po’. Poi realizzo che per chi se la possa permettere, è un oggetto completamente disponibile al pubblico, e a quel punto non posso fare a meno di maledire il giorno in cui qualcuno ha deciso di NON farmi nascere ricco.

A conclusione della giornata, ciò di cui mi sono reso conto più di ogni altra cosa è che l’offerta del programma Yamaha GYTR sia qualcosa di ineguagliabile. Le moto base sono brillanti, ma l’ampio elenco di parti da corsa disponibili è un punto di svolta assoluto: tutto è al posto giusto, con prezzi ragionevoli per il relativo valore, e ogni componente ha uno scopo e fornisce un aggiornamento significativo alla rispettiva moto. Cosa pretendere di più?

Resta da dire che sono una ventina i negozi Yamaha GYTR Pro Shop in Europa (presto saranno 25, di cui 4 già operativi in Italia) e tutti sono gestiti da specialisti con esperienza nelle gare; quindi, capirete il valore aggiunto di usare il loro servizio di assemblaggio. Tutte le preparazioni sono curate da tecnici specifici Yamaha, quindi potete stare certi che il lavoro sarà perfetto, e con più di 600 parti plug-and-play a listino, la vostra serie R dei sogni sarà a portata di mano. Certo, poi ci sarebbe anche da considerare la parte difficile. Quella di avere abbastanza soldi per permettersi tutto questo ben di Dio…