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Col programma Genuine Yamaha Technology Racing, la casa di Iwata punta a un solo obiettivo: liberare tutto il potenziale dalle proprie supersportive per l’uso tra i cordoli. Il nostro Lore è andato a Misano per la prova della Yamaha R1 GYTR. E ne è rimasto piuttosto impressionato…
Testo: Lore Foto: Yamaha (Milagro)
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Le moderne race replica sono moto straordinarie: potenti come i mezzi del Mondiale Superbike di non molti anni fa, studiate nei minimi dettagli come sculture neoclassiche e tanto avanzate tecnologicamente che susciterebbero moti d’invidia persino nei Transformers. Eppure, in molti casi è chiaro come non riescano a esprimere appieno il loro potenziale. E la causa è quasi sempre una: la necessità di sottostare alle regole di omologazione per la circolazione su strada.
Certo, le omologazioni sono ciò che ci permette di godere di simili prodigi dell’ingegneria anche sui nostri percorsi da pieghe preferiti, o semplicemente di ostentarli all’ora dell’aperitivo in centro, oltre che nel paddock di una pista, dunque non è possibile farle sparire dall’equazione. Anche perché, per quanto mi riguarda, il fatto di possedere e guidare una supersportiva su strada è ancora tra quei piaceri della vita ai quali non mi sento minimamente pronto a rinunciare. Un po’ come una birra gelata in una sera d’estate. O una bella ragazza… in qualsiasi serata.
Tuttavia, non c’è dubbio che sia la pista l’habitat naturale di questi missili a due ruote, quello dove possono esprimersi senza limiti. Perciò, il fatto che siano limitati da caratteristiche e compromessi nati al di fuori di un circuito, appare un paradosso. In particolare agli occhi di quegli smanettoni che hanno scelto la loro moto specificamente per sbranare cordoli a colazione, pranzo e cena. Ed è proprio qui che entra in gioco una moto come la Yamaha R1 GYTR, protagonista di questa prova.
Prova Yamaha R1 GYTR: di che moto si tratta?
Quella che vedete nelle foto di questo articolo, e che sto per provare in pista a Misano, non è semplicemente una moto da corsa. È un esemplare di R1 allestito per mostrare fin dove si possa arrivare (o quasi), attingendo a piene mani dal catalogo di parti speciali riunite sotto quell’acronimo così particolare, che si legge “gi-uai-ti-ar” e che significa “Genuine Yamaha Technology Racing”.
Il valore aggiunto, rispetto a quanto si potrebbe fare rivolgendosi a un qualsiasi negozio o preparatore, sta nel fatto che ogni singolo componente è stato sviluppato in collaborazione con chi ha progettato la moto; per poi essere venduto con le garanzie di affidabilità, compatibilità e messa a punto di un ricambio originale… ad alte prestazioni.
Rispetto alla bellezza blu opaca che è qui davanti a me, sollevata sui cavalletti da officina e con le Bridgestone V02 slick cotte a puntino dalle termocoperte, voi potreste optare per installare solo le parti che più vi interessano, oppure spingervi oltre aggiungendo componenti interne del motore bilanciate, alberi a camme e quant’altro. Tutto questo rivolgendovi direttamente alla concessionaria ufficiale Yamaha più vicina a casa vostra. Facile e sicuro, no?
Una sorpresa inaspettata
Io, lo ammetto, sono più fortunato. Per avere l’opportunità di guidare una R1 full-GYTR mi è bastato presentarmi col mio borsone da pista al seguito nel paddock di Misano. Avrò a disposizione quattro intere sessioni con una moto completamente dedicata a me. Com’era quel vecchio adagio? È un duro lavoro… ecco, avete capito. Appena finisco di mettere la tuta, tuttavia, mi avvisano che nel programma della giornata è saltato fuori del tempo extra, cosa più unica che rara, perciò avrò a disposizione un turno aggiuntivo nella mattinata con una R1M di serie. Perfetto: avrò non solo l’occasione di ripassare i riferimenti di Misano prima di darci dentro sul serio, ma lo farò col mezzo più adatto al confronto con la moto da gara che mi aspetta.
Il primo turno su una Yamaha R1M
I primi giri della giornata, in tutta onestà, non sono un idillio di tranquillità e rilassatezza. Visto il fuoriprogramma, le slick equipaggiate sulla R1M non hanno visto nemmeno la fotografia di una termocoperta, perciò dedico qualche minuto essenzialmente a sopravvivere senza fare danni. Quando poi finalmente sento che le gomme sono entrate in temperatura, ci metto poco a trovare il feeling con una moto che conosco già piuttosto bene.
Una manciata di passaggi sul rettilineo dei box e posso apprezzare tutti i pregi dell’ammiraglia sportiva Yamaha – qualità dell’erogazione, stabilità della ciclistica, senso di connessione con la gomma posteriore, facilità nell’andare forte… – ma anche quei limiti che l’hanno tenuta a un passo dalla lotta per il podio nelle nostre comparative in pista.
Mi riferisco alla frenata, che pecca in quanto a puro potere d’arresto e feeling alla leva; alla risposta al gas con la mappatura A, eccessivamente aggressiva al momento della riapertura; all’ergonomia dei semimanubri, che sulle R1 di serie sono posizionati come su una moto da Gran Premio degli anni 70: stretti, bassi, chiusi e spioventi. Esattamente il contrario di ciò che si vede ormai da diversi anni su pressoché tutta la concorrenza.
La prova della Yamaha R1 GYTR inizia dalla pitlane
Così, dopo essere rientrato ai box, so esattamente cosa mi piacerebbe trovare di diverso sulla R1 GYTR. Oltre alle termocoperte montate e accese, chiaramente. A mettermi immediatamente di buon umore è la postura di guida, che è esattamente come dovrebbe essere anche sulla moto di serie. Certo, forse le pedane sarebbero fin troppo alte e arretrate per girare su strada senza attentare all’integrità di menischi e legamenti vari delle ginocchia, ma i semimanubri sono posizionati alla perfezione; più aperti, piatti e alti, danno una netta sensazione di maggior controllo sull’intero pacchetto.
Controllo che non dimostro pienamente quando mollo la frizione e parto: la moto è decisamente più alta al posteriore, anche per via dell’assetto più sostenuto, che non si siede quasi minimamente sotto al mio peso, tanto che tocco terra come una ballerina di danza classica. Al contempo, i finecorsa dello sterzo non sono minimamente pensati per favorire le manovre a passo d’uomo in spazi stretti. Sommate le due cose e potrete immaginarvi la scena del sottoscritto che, dopo circa 3,7 secondi in sella, rischia di spalmarsi faccia a terra in pitlane – a 3km/h, col motore giù di giri in stallo, lo sterzo a battuta e delle ridicole sgambettate a cercare di tener su il gioiellino firmato GYTR.
Prova Yamaha R1 GYTR in pista
Superato il rischio dell’umiliazione, le cose in pista vanno molto meglio. E da subito. Già nel primo giro, ogni singola volta che vado a riprendere in mano il gas mi rallegro della precisione assoluta con cui la moto risponde agli input del mio polso destro, sin dal primo grado di rotazione della manopola.
Visto il gas rapido, avendo a che fare con una corsa inferiore dell’acceleratore ci si aspetterebbe di dover essere più cauti e precisi. Invece, mi ritrovo ben presto a gestire la transizione dal tutto chiuso a centro curva con più naturalezza e meno impegno mentale, concentrandomi di più su ciò che conta davvero: la traiettoria. È lampante come l’iniezione, svincolata dai limiti dell’Euro 5, sia finalmente libera di dare al motore tutta la benzina che gli serve in ogni circostanza, facendolo funzionare esattamente per come è stato progettato.
Oltretutto, l’assenza di quel fastidioso momento di on-off permette di godersi appieno una delle migliori caratteristiche dell’R1, che qui viene elevata all’ennesima potenza: la connessione neurale tra gomma posteriore e polso destro. In uscita di curva l’R1 è una delle più goduriose race replica in circolazione. E in questa prova la Yamaha R1 GYTR non fa che confermare la sensazione; con l’erogazione melliflua del 4 in linea crossplane che facilita il compito a controllo di trazione e controllo della derapata – anche se questi due algoritmi non sembrerebbero aver bisogno di tanto aiuto, da quanto precisi, puntuali e impercettibili sono nel loro intervento.
Uscita di curva e frenata
Se il modo con cui esce dalle curve la GYTR rispecchia le qualità intrinseche dell’R1 di serie, la velocità con cui mi spara fuori per poi annichilire i successivi rettilinei è tutta un’altra cosa. Fosse solo per i 12 cavalli in più non sarebbe così palpabile la differenza; ma con circa 15kg in meno e una rapportatura finale leggermente più corta e più adatta a Misano, la GYTR brutalizza il contagiri fino a oltre quota 14.000 senza la minima incertezza. Tutto però, permettetemi il paradosso, avviene con una sensazione di “calma apparente”.
Questo grazie all’assenza di netti cambi di passo o latrati di scarico sguaiati; c’è solo un accompagnamento sonoro da premio Oscar, migliore come profondità e chiarezza rispetto alla moto di serie, ma praticamente identico in quanto a volume per via del mega-terminale anni 90, appositamente studiato per liberare qualsiasi smanettone da prove libere dall’ansia delle verifiche fonometriche.
La cosa devastante per i miei sensi, tuttavia, è il comportamento completamente stravolto in fase di frenata. Anche se era del tutto prevedibile che l’impianto Brembo da pista (e senza ABS) mi avrebbe offerto prestazioni superiori, e nonostante l’R1 GYTR mi faccia arrivare nettamente più forte a ogni staccata, ci metto almeno un turno e mezzo prima di spostare i miei riferimenti abbastanza avanti da arrivare alle curve conservando la giusta velocità.
Basta un dito per staccare davvero forte, ma con indice e medio sulla leva è come sbattere contro un muro di cemento armato, mentre la Bridgestone V02 si spalma sull’asfalto e l’intera ciclistica gestisce magnificamente il trasferimento di carico, senza lasciare che il posteriore si scomponga.
Precisione laser
Se in frenata è un’arma, è in ingresso e percorrenza che questa Yamaha R1 GYTR che ho in prova mi lascia senza parole. Il livello di fiducia nella porzione di gomma anteriore a contatto con l’asfalto è sublime e l’avantreno è lì che aspetta solo di fare qualsiasi cosa io abbia in mente. Anzi, in questa configurazione la race replica di Iwata sembra spingersi oltre, eseguendo con precisione assoluta anche ciò che mi sembra di aver solo pensato, e lanciandosi verso la corda come fosse l’unico scopo della sua esistenza.
Merito certamente delle sospensioni Öhlins, ma anche del tanto peso in meno rispetto alla moto di serie e del braccio di leva offerto dai manubri piazzati finalmente in una posizione sensata. Questi ultimi due fattori, oltretutto, contribuiscono a rendere rapidissima l’R1 anche nei cambi di direzione, seppur resti chiaro come non sia una moto che punta a primeggiare in queste fasi, quanto più nel feeling e nell’equilibrio generale della ciclistica, peraltro granitica a centro curva.
Prova Yamaha R1 GYTR: una piccola modifica
In fin dei conti, l’unica cosa di cui mi lamento a metà giornata, è un’eccessiva tendenza all’impennata, che mi sembra costringere l’elettronica a intervenire più di quanto dovrebbe, unita a una certa leggerezza di sterzo che in queste fasi causa delle lievi sbacchettate.
Quello che però mi sembra un limite di messa a punto, si trasforma nella riprova di cosa significhi avere a disposizione una moto con componentistica da gara. Finita la pausa pranzo, mi basta infatti riferire le mie sensazioni a un tecnico Yamaha, confrontarmi rapidamente con lui, e con un paio di click all’ammortizzatore di sterzo e un altro paio all’idraulica del mono, ogni traccia di nervosismo in accelerazione sparisce, sostituita dall’esaltante sensazione dell’anteriore che percorre metri su metri planando a una spanna da terra, senza però eccedere mai in una vera impennata. Avete presente come fa Ratzgatlioglu con la sua R1 quando ribalta il gas durante le gare SBK? Ecco… più o meno così.
Quindi, com’è?
Questa R1 GYTR non mi è semplicemente piaciuta, mi ha autenticamente esaltato. Liberata dalle costrizioni dell’Euro 5 e dai compromessi stradali, in pista è sostanzialmente una moto perfetta. Veloce sul dritto, stabile in curva, rapida nei cambi di direzione, impeccabile a livello di erogazione e con un feeling in tutte le fasi di guida che ti fa sentire come se, anziché le gomme slick, a contatto con l’asfalto ci fossero il palmo delle tue mani e le tue chiappe. A parità di preparazione, a essere onesti, credo ci potrebbero essere rivali più esplosive sul dritto o più immediate nelle esse, ma l’equilibrio complessivo di questa Yamaha sarebbe molto difficile da battere.
E volete sapere la parte migliore di tutta la faccenda? Con una posizione di guida azzeccata (finalmente!) e l’eliminazione di quell’on-off da carburazione magra, la GYTR è persino più semplice e divertente della R1M di serie. Certo, ci vogliono il fisico e l’esperienza giusti per sfruttarla anche solo a un livello decente, ma questo vale per tutte le maxi moderne.
Un’ultima considerazione
A conti fatti e tornando più in generale al tema iniziale dell’articolo – più che al giudizio sulla moto in sé – credo che la strada intrapresa da Yamaha con la sua divisione GYTR abbia perfettamente senso, anche tenuto conto che lo stesso tipo di preparazione ufficiale è disponibile pure per R6 e R3 – dunque per tutti i proprietari di una sportiva di Iwata.
Forse però si tratta solo di un primo passo verso un futuro nuovo. Per ora, infatti, non si tratta di moto che nascono già in Giappone come moto da pista, pronte per essere ulteriormente trasformate in mezzi da corsa. E invece immaginate se, tra qualche anno, fosse direttamente Yamaha a proporre a listino un’ulteriore versione della sua SBK replica, creata già in fabbrica con lo specifico fine di vivere esclusivamente tra i cordoli.
Accanto a R1 e R1M targabili per chi continua a volersele godere a 360°, ci sarebbe così la R1 GYTR: senza fari, portatarga o catalizzatore, già configurabile sin dalla catena di montaggio con le specifiche desiderate. Un sogno? Forse, ma non credo nemmeno così lontano dalla realtà. Ancor meno dopo che questa visione ha iniziato a prendere forma con i GYTR Pro Shop e la R6 GYTR 2022, di fatto una Superstock che Yamaha vende già pronta per la pista.
L’unica vera certezza emersa da questa prova della Yamaha R1 GYTR, è quanto possa cambiare l’esperienza di guida in sella a una supersportiva liberandone tutto il vero potenziale.
Prova Yamaha R1 GYTR, la tecnica:
MOTORE
Nel catalogo GYTR esistono parti come alberi a camme più prestazionali, coppa dell’olio modificata e parti interne bilanciate. Tuttavia, la moto provata in questo articolo ha un motore di serie. Le uniche differenze stanno nel radiatore maggiorato e nell’impianto di scarico, privato del catalizzatore e con un terminale Akrapovic dedicato ai trackday (non installato sulla moto ritratta nelle foto statiche): le sue dimensioni servono a mantenere il livello del sound sotto i 100dB. Grazie anche alla nuova unità di controllo motore, la potenza massima dichiarata è di 212cv, 12 in più rispetto alla configurazione di serie.
ELETTRONICA
Oltre alla ECU dedicata, su questa Yamaha R1 GYTR in prova sono presenti un cablaggio da gara semplificato e alleggerito, l’acquisizione dati e un emulatore per l’eliminazione dell’ABS senza i relativi messaggi di errore. La strumentazione è di serie, ma viene governata da blocchetti elettrici ricavati dal pieno da vera moto da corsa.
SOSPENSIONI
Le sospensioni di serie lasciano il posto a unità meccaniche Öhlins top di gamma: forcella FGRT 219, ammortizzatore di sterzo e mono TTX GP. A completare la spettacolare dotazione dell’avantreno c’è anche una piastra di sterzo superiore ricavata dal pieno.
TRASMISSIONE
La trasmissione finale ha passo 520, con catena DID ERV LI. Sulla moto in prova la rapportatura finale è stata accorciata con due denti in più di corona.
ERGONOMIA
Rispetto alla R1 di serie, l’ergonomia di base della GYTR viene stravolta grazie all’arrivo di semimanubri più aperti, alti e piatti. Sia questi, sia le pedane arretrate, sono naturalmente regolabili.
FRENI
Nuovo da cima a fondo l’impianto frenante. Pompa Brembo 19 RCS Corsa Corta, tubazioni dirette in treccia, pinze Brembo GP4-RX, pastiglie Brembo Z04 e dischi Brembo T-Drive da 320mm. C’è persino la chicca racing del registro remoto, per regolare la distanza della leva con la mano sinistra mentre si dà gas in rettilineo.
DOTAZIONI DA PISTA
Trattandosi di una moto dedicata esclusivamente all’uso in pista, l’intera carenatura in vetroresina è parte del kit GYTR e pensata per questo scopo, con tanto di vasca inferiore chiusa. Oltre a questo, l’intera moto è disseminata degli accessori tipici dei mezzi da gara o da trackday: cover per i carter motore, protezioni sui perni ruota, tappo del serbatoio a vite, sella da gara, adesivi in gomma ai lati del serbatoio, pinna paracatena, paraleva dal lato del freno e altri dettagli ancora. Tutto presente nel catalogo GYTR, compreso il comando del gas dalla corsa accorciata.