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Piccoli aggiornamenti, rapporti più corti e lo stesso urlo infernale: visto che le Fireblade sono cambiate solo marginalmente per il 2022, abbiamo voluto indagare quanta differenza ci sia davvero tra la versione SP e la Honda CBR1000RR-R 2022 “standard”, provando quest’ultima al Mugello. L’incaricato di questo arduo compito? Il nostro Lore

Testo: Lore Foto: Fotoeventi, M. Grazi

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È un po’ di tempo che, girovagando tra box e paddock delle normali giornate di prove libere, sto notando una cosa interessante. Tra le superbike da pista di smanettoni o piloti amatoriali, la maggior parte appartiene a una delle seguenti due categorie: modello standard evidentemente modificato per il solo uso in pista; oppure moto così pesantemente preparata da rendere addirittura difficile riconoscere la versione d’origine.

Gli esemplari top di gamma, con sospensioni elettroniche e dettagli pregiati di serie, al contrario, sono solitamente mantenuti come di fabbrica e portati in pista da motociclisti che, oltre che nei trackday, amano continuare a godersi la propria belva soprattutto al di fuori dei cordoli. Via giusto specchi e targa – a volte nemmeno questi – e dentro in circuito con la stessa moto con cui magari qualche giorno prima sono andati a bere l’aperitivo o si sono fatti una sparata su una bella strada da pieghe.

Sulla carta questa cosa ha perfettamente senso. Perché mai spendere diverse migliaia di euro in più per dotazioni – una su tutte: le sospensioni semiattive – che poi, nell’affascinante e dispendioso percorso che porta da una moto di serie a un mezzo da pista, finiranno a prendere polvere in uno scatolone in fondo al garage? Ed è da questo ragionamento che nasce lo spunto per questo test.

Una teoria da verificare al Mugello

Nello specifico, quando ho chiesto a Honda una CBR1000RR-R 2022 per mettere alla prova gli aggiornamenti del modello 2022, nella mail ho volutamente tralasciato la versione SP, col suo corredo di Öhlins semiattive e freni Brembo allo stato dell’arte, optando invece per la più “umile” Fireblade standard.

L’idea era di capire esattamente quali e quante differenze potessero comportare le sospensioni Showa meccaniche e i freni Nissin. E soprattutto, se si trattasse davvero e solo di compromessi al ribasso, perlomeno nell’ottica dell’uso in pista a livello amatoriale.

Sinceramente non ero sicuro che Honda avrebbe supportato la mia idea, più che altro perché da tempo i parchi stampa dei costruttori sono popolati dalle sportive al vertice della gamma, e solo di rado vengono previsti i modelli “base”, per quanto faccia sorridere definirli così. E invece, con un po’ di stupore da parte mia, la mail di conferma per la CBR1000 standard dalla sede italiana di Roma non si è fatta attendere.

E ora eccomi qui, al Mugello, con la mia Honda senza sigla SP, ma con targa (inglese, per ragioni che sfuggono alla mia comprensione…), frecce, specchi e gomme strada-pista Continental RaceAttack 2 Street: si comincia!

CBR standard: gli aggiornamenti 

Potrà sembrare identica a prima, ma sotto le carene la Honda CBR1000RR-R Fireblade 2022 ha ricevuto diversi affinamenti motoristici. Nulla di eclatante o che abbia rivoluzionato l’essenza del modello, ma fa piacere notare come tutti gli interventi siano stati specificamente rivolti a tamponare i (pochi) limiti che abbiamo sempre sottolineato nelle nostre prove comparative. Parliamo della mancanza di spinta ai medi e di una rapportatura talmente lunga che avrebbe giusto senso per i record di velocità sulla distesa di un lago salato.

I tre denti in più di corona sono una modifica fin troppo ovvia, ma secondo Honda anche la grinta del motore lontano dalla zona rossa è stata migliorata, così, per il primo turno della giornata, entro con la precisa intenzione di verificare se ci siano stati effettivi cambiamenti, anche sulla scorta dell’esperienza di poche settimane fa, quando ho guidato una Fireblade SP 2020 proprio qui, al Mugello, in occasione di una presentazione stampa di gomme.

Posizione in sella: è un flop o è azzeccata?

Col mio metro e 74 non sono altissimo, ma tutte le volte che salgo su una RR-R mi sento un gigante; tocco terra facilmente con entrambi i piedi e le gambe leggermente piegate. Qualcosa di impensabile su gran parte delle altre race replica moderne.

Poi mi allungo verso i semimanubri e la sensazione è quasi opposta: sono belli aperti, lontanissimi e posizionati così in basso da sembrare montati sul perno della ruota anteriore. C’è tantissimo spazio a bordo sulla Honda, ma la posizione di guida è parecchio distesa, col busto quasi parallelo al serbatoio.

Alcuni la criticano, io la trovo azzeccata: crea da subito un senso di intima connessione con tutta la moto e in particolare con l’avantreno, persino mentre si sta ancora mollando delicatamente la frizione per uscire dal box e oltrepassare la pitlane. In queste fasi, così come in qualunque altro momento in cui la valvola allo scarico della CBR sia chiusa, la strumentazione è quasi l’unico indizio che il motore sia acceso: zero vibrazioni, zero rumore. Ma è un inganno.

Sound e spinta del quattro cilindri in linea

Basta iniziare a scalare il contagiri – cosa che adesso, coi rapporti accorciati, risulta più veloce e immediata da fare – e la CBR10000 standard nell’arco di pochi istanti si trasforma in uno strumento del demonio, con un rumore capace di far venire i brividi a qualsiasi malato di motori nel raggio di chilometri.

Ancora non mi spiego come abbiano fatto a Tokyo a far passare le prove di omologazione a questa furia strepitante, ma tant’è: nessun’altra moto di serie attualmente in commercio grida con una tale, sguaiata ferocia, e io non posso che ringraziare Honda per aver donato alla ‘Blade una voce così folle e al tempo stesso arrapante.

Bene, ma il sound ai limiti dell’illegale, a pensarci, c’era anche prima: per quanto riguarda invece quei famosi medi mancanti? Ecco, quelli non si può realmente dire siano stati recuperati con le modifiche descritte. Il 999cc di Tokyo continua a comportarsi esattamente secondo la tradizionale filosofia dei quattro in linea “lisci” – ovvero senza alberi crossplane, fasature variabili, compressori e via dicendo.

Tutto il meglio arriva quindi agli alti, oltre quota 9-10.000 giri, con un allungo e una cattiveria nel proiettarsi verso il limitatore che credo non abbia eguali nell’attuale panorama delle race replica;  anche tra quelle che magari nelle prove al banco sparano alla gomma posteriore più cavalli della CBR1000 standard. E badate che non è solo una sensazione dettata dall’eccitazione per il sound di scarico, ci sono i numeri a confermare quanto sia famelica la ’Blade sui rettilinei. La fotocellula del Mugello, notoriamente conservativa visto il posizionamento anticipato rispetto al punto di staccata, mi ha registrato a 293km/h, ma è un dato che sarebbe vicino ai 300 effettivi se avessi avuto con me un rilevatore GPS.

La trasmissione finale è stata (giustamente) accorciata

Per una moto con specchietti e targa – oltre alle gomme stradali, che di certo non garantiscono una velocità d’uscita dalla Bucine pari a delle slick – è davvero notevole, e sono sicuro che abbia molto a che fare anche con l’aerodinamica raffinatissima.

Tornando ai medi regimi, non voglio dire che le modifiche al propulsore non abbiano prodotto alcun effetto, quanto piuttosto che vengono mascherate dal risultato, ben più evidente, della semplice e banale sostituzione della vecchia corona da 40 con una da tre denti in più. È soprattutto grazie alla trasmissione finale più corta, infatti, che la CBR1000 standard riesce a superare con maggiore slancio i medi per lanciarsi verso gli alti.

Questo, allo stesso tempo, rende più semplice tenere il motore sempre nel suo range di giri preferito, tra i 10 e i 15.000, dato che, seppur la rapportatura resti più lunga rispetto alla media, ora quantomeno si usano in quasi tutte le curve le stesse marce delle altre sportive – anziché una in meno. Sul rettilineo del Mugello adesso si chiama finalmente in causa anche la sesta, seppur giusto per qualche istante: prima si appoggiava a malapena la quinta.

A proposito di marce, Honda si merita una tiratina d’orecchie per la dotazione di questa Fireblade: sarà pure la versione base, ma resta una sportiva da oltre 22.000 euro, e non prevedere il cambio elettronico di serie è semplicemente insensato.

Anche perché il quickshifter optional installato sull’esemplare della prova – che altro non è che quello della SP – è uno spettacolo per come sbatte dentro i rapporti e la precisione con cui li toglie. Ed è anche personalizzabile in quanto a violenza dell’intervento.

Honda CBR1000RR-R 2022: la standard è una Blade al 100%

Progressione devastante in rettilineo, suono diabolico e rapportatura accorciata sono però tutti elementi in comune alla SP. Dunque, è giunto il momento di chiarirci le idee riguardo ai dubbi iniziali: bastano freni meno pregiati e sospensioni tradizionali a cambiare le qualità fondamentali di una moto? La risposta breve è no.

Dietro questa sillaba, però, si cela un discorso ben più articolato. La CBR1000 standard, esattamente come la SP, è una moto che punta tutto sulla stabilità e sul feeling cristallino della ciclistica, in particolare all’anteriore, sacrificando qualcosa in termini di pura agilità nei cambi di direzione a favore di una connessione fenomenale a moto inclinata. A centro curva, specialmente nei curvoni veloci, è letteralmente un aratro che scava nell’asfalto, anche con gomme stradali; lasciando a chi sta in sella la sensazione che, anche staccando le mani dai semimanubri, lei continuerebbe a descrivere una traiettoria perfetta.

La ciclistica della CBR1000 standard: sospensioni e freni sono all’altezza

Le informazioni che arrivano dall’avantreno in ingresso, a freni tirati così come quando li si rilascia progressivamente, sono abbondanti e rassicuranti, anche se, come prevedibile, la Showa BPF meccanica non è precisa quanto la Öhlins semiattiva della SP nel comunicarle. È come se ogni tanto si mangiasse una parola e voi doveste fare un piccolo sforzo mentale in più per afferrare il concetto. Nulla che comprometta di per sé il tempo sul giro, ma la guida in pista, si sa, è fatta di sensazioni fini.

Allo stesso modo, quando si inizia a tirare davvero, il set up di serie del mono risulta leggermente morbido, lasciando la moto un po’ seduta sia in accelerazione, sia sullo scollino in fondo al rettilineo, dove la CBR10000 standard s’impenna decisamente di più (anche se non in maniera preoccupante) della sorella SP. Certo, si può intervenire sulle regolazioni per risolvere il problema, ma il bello delle Öhlins semiattive sta proprio nella loro capacità di farlo istantaneamente, fornendo automaticamente un assetto pressoché ideale in ogni condizione.

Per quanto riguarda i freni, il discorso non è molto diverso. L’impianto Nissin ha la potenza per fermare con decisione la CBR e la resistenza per affrontare un turno tirato senza soffrire di allungamenti eccessivi della leva o cali di prestazione. Quello che gli manca è la cristallina comunicatività della componentistica Brembo della SP. Ci vuole un poco di forza in più sulla leva e manca quella splendida sensazione di poter controllare chirurgicamente la potenza frenante come se si stringessero le pastiglie direttamente tra le dita.

Curiosità sull’ABS

Nota positiva ma curiosa: l’ABS settato da pista non mi ha dato il minimo problema; facendosi sentire solo lievemente in un paio di occasioni in cui, stavo rimediando con una frenata particolarmente aggressiva a un punto di staccata mancato di qualche metro.

La cosa strana è che con la SP, su altre piste ma in condizioni simili, l’ABS mi aveva dato la sensazione di essere un po’ più invadente; comunque ancora troppo conservativo rispetto alla migliore concorrenza.

Del tutto in linea, invece, è il comportamento del resto del pacchetto elettronico, con un traction control preciso e discreto, e un’anti impennata puntuale ed efficace – anche se non super intuitivo da disinserire.

A dire il vero, la poca intuitività è qualcosa che riguarda da sempre i menù e l’intera gestione dell’elettronica Honda tramite la strumentazione TFT. Ma questa è una cosa che, avendo tra le mani la moto tutti i giorni, probabilmente arrivereste a superare.

Meglio la SP o la CBR standard?

Dunque, risparmiare circa 4.000 euro sul prezzo di listino (in realtà meno, tenendo presente il cambio elettronico opzionale) scegliendo una Honda CBR1000RR-R 2022 standard al posto della SP, determina realmente un compromesso al ribasso nella guida in pista? Per quanto si tratti di piccole sfumature, che non cambiano l’essenza di una moto che resta tra le mie race replica preferite, sì.

Tuttavia, riprendendo quanto detto all’inizio sulle moto da trackday, credo che il discorso da fare sia un altro. Se con la vostra race replica volete alternare i fine settimana tra bar del passo e cordoli; le versioni top di gamma (escluse ovviamente le homologation special) sono sicuramente quelle da puntare.

Da un lato le sospensioni semiattive, nell’arco di due click su un pulsante, vi permettono di trasformare la moto da paciosa sportiva stradale a bisturi per il tempo sul giro. E in questo, va detto, le Öhlins Smart EC 2.0 della SP sono il riferimento assoluto. Dall’altro, la componentistica al massimo livello possibile su un mezzo omologato per la circolazione su strada, garantisce minori compromessi nell’uso in pista di una moto di serie.

Se, al contrario, il vostro obiettivo è creare un missile da cordoli mettendo mano alla componentistica; una versione base sembrerebbe la scelta più sensata, anche nel caso della CBR1000RR-R, in cui la differenza di prezzo con la SP è la più bassa tra le sportive attualmente in vendita.

Questo perché coi soldi risparmiati potrete investire in parti aftermarket specifiche per la pista, fino a superare le capacità assolute della versione più costosa; senza necessariamente superarne il prezzo. Il tutto sfruttando le qualità di elementi deliberatamente pensati per le massime prestazioni; senza i lacciuoli derivanti da regole di omologazione, versatilità nell’uso stradale ed economie di scala.