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Col passaggio dal V2 al V4, Ducati ha letteralmente rifatto da capo la sua power cruiser, pur seguendo la stessa ricetta: look da muscle bike, dotazioni da supernaked e zero senso del pudore. Ma la Diavel V4 sarà ancora in grado di stupire in quanto a puro piacere di guida?

Testo: Lore Foto: I.B.

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Scrivere della Diavel non è mai stato semplice, e il motivo sta proprio nel concetto alla base della sua creazione. Sin dalla prima generazione, quella lanciata nel 2011, Ducati l’ha infatti sempre presentata come la fusione di una supersportiva, una naked da sparo e una cruiser. E questo vale tanto nella forma, quanto nella sostanza, il che la rende qualcosa di concettualmente e sostanzialmente unico e, di conseguenza, estremamente difficile da descrivere efficacemente a parole a chi non ci ha mai percorso nemmeno un chilometro.

Ora però, dopo più di una settimana in compagnia della nuova Diavel V4, con ancora le articolazioni delle braccia allungate dalle sue accelerazioni devastanti, è venuto il momento di affrontare la tastiera per farvi capire di che razza di mezzo unico si tratti

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Una Diavel tutta nuova

Prima di tutto, bisogna sottolineare come la moto sia completamente nuova rispetto alla 1260 che l’ha preceduta. Dopo aver scelto di usare il V4 Granturismo da 1.158cc della Multistrada V4, dunque con albero controrotante, ma senza distribuzione desmodromica, in Ducati hanno riprogettato da zero la Diavel, introducendo anche il telaio monoscocca in alluminio. Già solo questi due macro elementi hanno portato a un risparmio di peso di quasi 10kg, mentre il dato complessivo si attesta a 236kg in ordine di marcia, 13 in meno della 1260S.

Naturalmente anche il design è tutto nuovo e del tutto esagerato – dal terminale di scarico in stile mitragliatrice gatling, alle enormi prese d’aria laterali, fino al faro posteriore puntiforme, nulla sembra pensato per apparire sobrio né passare inosservato. Complessivamente, però, è impossibile non riconoscere una Diavel anche in questa nuova V4: il profilo è lo stesso, così come l’interasse chilometrico, la sella bassa e il gommone posteriore da 240 che sembra prelevato direttamente da un dragster. È una moto inutile, fuori dagli schemi, eccessiva sotto ogni aspetto – ma è proprio questo il suo bello.

Sound da V4, ma…

Pure la posizione di guida è in continuità con il modello precedente, anche se devo ammettere che il manubrio più vicino al pilota di 20mm, in effetti, aiuta nelle manovre a bassa velocità, quando bisogna girare tutto lo sterzo da un lato e si rimane un po’ appesi alla manopola esterna, vista la distanza e l’ampiezza del manubrio.

In ogni caso è il comfort a dominare la scena, con la sella ben imbottita, il busto eretto, le ginocchia rilassate e le braccia morbide che portano naturalmente alla presa sulle manopole. Complice anche il fatto di dover cercare le pedane un po’ più in avanti di dove sareste abituati a trovarle su una normale supernaked, nei primi istanti le sensazioni sono più vicine a quelle di una lenta cruiser americana, pensata per attraversare interi continenti col massimo della calma.

Avviare il V4 Granturismo, tuttavia, riporta alla realtà ben più raffinata della Diavel, anche se il sound molto strozzato, al minimo è tutt’altro che esaltante. Ci vogliono un po’ di giri perché il propulsore riesca a ricordare la sua discendenza da quello della Panigale grazie all’ordine di scoppio twin pulse, ma non è comunque un problema, perché per quanto bello sia il silenziatore di serie, nel catalogo Performance ce n’è uno ancora più bello, realizzato da Akrapovic, che chiede solo di essere montato per esaltare un po’ meglio la voce ai bassi del V4.

Belva da dritto

In ogni caso, superati i primi imbarazzi nelle manovre piedi a terra (peraltro mitigati dalla sella quasi ad altezza asfalto), una volta lasciata la frizione e inserita la prima, la vita sulla Diavel V4 si fa inaspettatamente facile, nonostante massa e dimensioni importanti. La dolcezza di erogazione e la precisione della risposta al gas del V4 di certo aiutano, ma ancor di più viene in soccorso una ciclistica ben più neutra di quanto ci si aspetterebbe. C’è solo una leggerissima sensazione di peso extra sull’anteriore che si avverte nelle rotonde più lente o nei tornanti più stretti, ma per il resto andare a passeggio sulla Diavel è un’attività che dà molto più gusto di quanto potreste credere vedendola.

Gusto che, ben presto, lascia spazio alla tentazione di provare le capacità sul dritto di questa belva da accelerazione. 168cv potranno sembrare una bazzecola rispetto agli oltre 200 di qualsiasi supersportiva odierna, ma il punto è che con un interasse di quasi 1.600mm, un gommone posteriore da 240mm, il baricentro basso e il 51,3% del peso sull’anteriore, è possibile sfruttarli tutti, uno per uno, per farsi proiettare in avanti senza che l’elettronica (o il vostro polso destro) debbano intervenire per non dare il via a epiche quanto deleterie impennate.

La scena tipica di massimo godimento sulla Diavel è la seguente: seconda marcia inserita, velocità costante, rettilineo sgombro davanti, ribaltamento del gas a fondo corsa e… organi interni che si schiacciano sul retro della cassa toracica. Poi terza, quarta e un sorrisetto tra l’isterico e il compiaciuto che si allarga sotto al casco, mentre si rallenta per rifare tutto da capo.

Forza G da capogiro

Per farla breve, la Diavel è semplicemente DEVASTANTE in accelerazione, ben al di là di quanto potreste intuire leggendo i dati dichiarati di potenza e coppia. E il bello è che tutto ciò che vi chiede per annichilire qualunque potenziale avversaria (anche una Panigale V4, per dire…) in un prima-seconda da fermi al semaforo è “solo” di pensare a dare gas e rimanere attaccati al manubrio.

Certo, se poi vorrete continuare il giochino, nessun problema: vi basterà buttare dentro una marcia dietro l’altra tramite l’impeccabile quickshifter e godervi il V4 che si schiarisce la voce verso la zona rossa in una melodia da MotoGP. Come dite? Senza accorgervene siete già ben oltre i 200km/h? Eh sì, questa è una Diavel, non una normale cruiser…

Tra l’altro, le iper-prestazioni sul dritto riguardano anche la frenata: dimensioni e peso consentono di scaricare sulla gomma anteriore una forza immane prima che il retrotreno accenni anche solo a scomporsi, e quella forza si trova tutta a portata di dita grazie all’impianto da race replica top di gamma, con dischi da 330mm e pinze Brembo Stylema.

E i monoruota?

Purtroppo tutta questa stabilità fin qui decantata, ha un effetto negativo sulle pure pratiche da hooligan, in cui la Diavel V4 non eccelle, facendo davvero fatica ad alzarsi di seconda e risultando non semplicissima da gestire in prima. È un po’ un peccato, perché la prima generazione di Diavel era spettacolare per come riusciva a stupire chiunque con monoruota apparentemente insensati per una moto simile, e pure la 1260 si difendeva decorosamente.

Parte della responsabilità di questa maggior educazione credo vada imputata proprio al V4 Granturismo e alle sue caratteristiche che, da qualsiasi altro punto di vista presentano solo vantaggi. Rispetto al vecchio V2 DVT, infatti, c’è sicuramente più allungo, ma soprattutto una regolarità di spinta nettamente superiore, con un crescendo gustoso e perfettamente gestibile lungo tutto l’arco d’erogazione. Insomma, venendo a mancare quell’anima più bellicosa del V2, col suo netto cambio di passo ai medio-altri regimi, è venuta a mancare anche un’utile spintarella extra per sollevare la Diavel con relativa facilità.

Fa le curve!

Resta solo da dire della guida, ovverosia lo scoglio più grosso da affrontare quando si parla della Diavel. Questo perché nessun motociclista sportivo, prima di provarla su un bel percorso da pieghe, riesce a capacitarsi del fatto che un mezzo tanto lungo e imponente possa non solo fare le curve, ma guidarsi globalmente così bene, persino nell’uso genuinamente sportivo. Ok, con questo non vi sto dicendo che una Diavel V4 possa anche solo lontanamente essere efficace nel misto come una Streetfighter – non accadrà mai. Però è certo che, quando si tratta di darci dentro tra una curva e l’altra, la parte di anima da naked sportiva, prende decisamente il sopravvento sulla parte da cruiser, portando a parecchie soddisfazioni inattese.

Innanzitutto, il baricentro molto basso si traduce in una buona maneggevolezza, dopodiché ci pensano le quote dell’avantreno e le sospensioni sportive a offrire feeling e supporto tra le curve. Ovvio, per farla voltare rapidamente ci vuole un po’ di lavoro di fisico e, anche così, bisogna sempre aspettare per un istante l’appoggio laterale del posteriore oversize, che si inserisce in curva con un pizzico di calma extra.

Ma una volta prese le misure, applicando contemporaneamente rotondità e decisione negli input dati a manubrio e pedane, i ritmi salgono sul serio, tanto che dopo un po’ di chilometri ci si ritrova a sporgersi dalla sella, ad allargare il ginocchio e a tirare i freni fin dentro le curve, quasi come su una qualsiasi maxinuda da sparo.

Pure la luce a terra è maggiore di quella che sembra, anche se purtroppo non abbastanza da non doverne tenere conto. Anche muovendosi per bene in sella, le grattate di pedane sono sempre in agguato e sono l’elemento che costringe a darsi una calmata.

Quindi la prova della Ducati Diavel V4, com’è andata?

Esattamente come le due generazioni che l’hanno preceduta, la Diavel V4 non è una moto per tutti. Pessima per passare inosservati, troppo veloce e affilata per essere una vera cruiser, troppo bassa e rilassata per essere una normale supernaked sportiva, ma contemporaneamente, e all’opposto, abbastanza in entrambi i sensi per attirare motociclisti estremamente diversi tra loro verso una stessa moto.

A prescindere dalla vostra opinione in merito, sappiate però che è un giocattolone tutt’altro che goffo o a disagio tra le curve e che, seppur con le dovute proporzioni, sa davvero come regalare le giuste sensazioni nella guida sportiva. Insomma, se vi dovesse capitare l’occasione di provarla, fatelo, anche solo per curiosità. Se invece dovesse venirvi in mente di sfidarne una sul dritto, a meno che non abbiate una Hayabusa con forcellone allungato all’americana, il mio consiglio è… evitate!