La road race più famosa e seguita al mondo dopo il TT? Non c’è dubbio, è la North West 200. Partenza in griglia, duelli gomito a gomito come in una competizione in pista, ma tra case, muretti e sull’asfalto di una “normale” strada del Nord Irlanda. Ce la siamo fatta raccontare da un’inviata d’eccezione: la massima esperta italiana nel campo del road racing…
Testo: Marta Covioli Foto: Diego Mola
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Belfast, Irlanda del Nord. Il portellone dell’aereo si apre e una sferzata d’aria fredda mi colpisce dritta in faccia. È tempo di raggiungere il tracciato della road race. Il cielo è grigio e, come sempre, minaccia pioggia, mentre l’inglese della gente intorno a me inizia ad avere quel marcato accento decifrabile solo dopo un bel po’ di allenamento.
Mi dirigo verso l’area noleggi auto per ritirare il mezzo che mi accompagnerà fino alla costa settentrionale dell’Isola di Smeraldo. Attenzione però a definirla apertamente in questi termini, perché vi potreste sentire rispondere brutalmente: “This is UK, not Ireland!” Punti di vista la cui discussione è meglio lasciare agli autoctoni.
Salgo in auto, con guida rigorosamente sul lato sinistro della carreggiata, e mi dirigo verso il nord di questa terra segnata da conflitti e sofferenze, ma anche patria di una disciplina motoristica che attira visceralmente una nicchia di appassionati duri e puri: quella delle road race.
Il tragitto
Durante il tragitto mi lascio alle spalle la favolosa Dundrod, terra dell’Ulster Grand Prix, la corsa su strada più veloce al mondo; incrocio Antrim, sede di un’altra piccola road race nordirlandese, la Mid Antrim 150; più avanti ecco le indicazioni per Armoy, famosa per la sua gara ma anche per aver dato i natali alla “Armoy Armada”, quel gruppo di piloti che erano soliti provare le loro moto tra le strade del paese, capeggiati nientemeno che da Joey Dunlop.
Subito dopo, ecco Ballymoney, la patria proprio dei Dunlop. Mi fermo, è ormai un rito la visita al Dunlop Memorial Garden, dove le statue di Joey, Robert e William sono tristi testimoni del duro, ma allo stesso tempo fiero, lato oscuro delle corse su strada.
Rischio come stile di vita
La dinastia Dunlop, che per anni ha trionfato nelle road race, ha purtroppo pagato un prezzo altissimo, quello degli incidenti fatali in gare in cui non è permesso alcun margine di errore, lasciando come unico erede l’indomabile e velocissimo Michael.
E qui serve una precisazione: potrebbe sembrare cinico o superficiale, ma difficilmente, tra il pubblico delle corse stradali, sentirete parole di indignazione o rimprovero per i tanti incidenti che nel corso degli anni sono costati e continuano a costare la vita a decine di piloti. Il punto è che chi partecipa a queste gare sa a cosa va incontro. E lo sa anche la gente. Fa parte del gioco, come tale il rischio viene accettato, e ogni volta che qualcuno muore durante una gara, non viene pianto come una vittima.
Modi di pensare che, ovviamente, sono difficili da spiegare e fare accettare a chi non è del tutto immerso nello spirito e nella passione per questo tipo di gare. Ma una cosa è sicura: ciò che si legge negli occhi dei piloti sono sentimenti di gioia, eccitazione, emozione. Chi ha paura, o non è del tutto convinto, a gare di questo tipo non solo non partecipa, ma non verrebbe nemmeno fatto partecipare.
Tappa obbligata e poi dritti alla meta
Tra queste riflessioni, una pinta al Joey’s Bar è d’obbligo. Il modesto pub della ferrovia trasformato negli anni 80 da Joey Dunlop in vero e proprio covo di motociclisti è oggi meta di pellegrinaggio da parte degli innumerevoli tifosi della famiglia nordirlandese, pronti ad ammirare i cimeli in bella mostra nel locale e, perché no, farsi servire una Guinness proprio dal figlio Gary, fino a poco tempo fa gestore del bar.
Proseguo, la mia meta è più avanti ed è l’evento per le due ruote più importante dell’Irlanda del Nord. Arrivata a Coleraine, l’atmosfera si fa calda: cartelli e pali della luce lungo la strada sono avvolti dalle protezioni, banner e bandiere sono disseminati ovunque. Ci siamo. Sono già stata qui un sacco di volte, ma ogni volta ho i brividi come se fosse la prima: sono sul tracciato della North West 200.
Il tracciato
Tutto è pronto per l’inizio dell’edizione 2022 della seconda corsa su strada più famosa al mondo dopo il TT dell’Isola di Man. Si svolge dal 1929 lungo un triangolo di 8,9 miglia (pari a 14,3Km) che collega le cittadine di Coleraine, Portrush e Portstewart, situate nell’estremità settentrionale dell’Irlanda del Nord. Una corsa su strada storica, che ha visto sfidarsi negli anni nomi quali Steve Hislop, Carl Fogarty, Mick Grant, Philip McCallen, David Jefferies e, chiaramente, gli idoli locali Joey e Robert Dunlop.
Una road race letteralmente incastonata in un paesaggio mozzafiato, tra velocissimi rettilinei, furibonde staccate, chicane artificiali per cercare di limitare un po’ le altissime velocità massime, saliscendi affacciati sul mare e persino un passaggio sotto la ferrovia, il tutto adagiato tra case, marciapiedi, verdissimi campi da golf e scogliere a picco sul Mare del Nord.
La zona è affollata e fervono i preparativi, ma per il momento le strade sono ancora aperte: così innocentemente attraversate dal normale traffico quotidiano che è difficile immaginare che da lì a poco si infiammeranno al passaggio di Michael Dunlop, Ian Hutchinson, Peter Hickman, Dean Harrison, Lee Johnston, Alastair Seeley, Glenn Irwin.
Un giro alla NW200
Prima che il percorso di gara venga chiuso, ne approfitto, come fanno tanti altri, per gustarmi in prima persona il tracciato centimetro per centimetro, iniziando dallo start, proprio sul lungomare sferzato dal vento freddo.
I piloti, che qui partono in griglia – e non singolarmente come al Tourist Trophy – ingranano tutte le marce per gettarsi in massa verso lo scollinamento di Primrose Hill; non che io possa fare lo stesso con la mia macchina a noleggio, ma mi faccio un po’ prendere la mano e arrivo decisamente troppo allegra alla brusca staccata di York Corner… Un punto da pelo, in cui se vai troppo stretto sei sul marciapiede interno, ma se stai troppo largo ti ritrovi a baciare le barriere esterne; è necessario essere chirurgici, da subito, che del resto è un po’ il mantra di ogni road race.
Velocità da Motomondiale
Arrivo quindi alla rotonda di Millroad e poi, traffico permettendo, full gas lungo il rettilineo dove è situata la speed trap: la velocità di punta alla North West 200 è da brivido, si toccano i 344Km/h. Sì, avete letto bene. Trecentoquarantaquattro chilometri orari. Su quella che è poco più che una statalina di campagna. E occorre calcolare bene il successivo punto staccata, visto che si rallenta molto per la piega a sinistra a University Corner, che porta poi alla grande rotonda di Ballysally, il punto più a sud del tracciato.
Da qui partirebbe un tratto di 5km praticamente rettilineo, da percorrere a gas pieno fino a Portrush, che per limitare le folli velocità ottenibili, considerando anche il gioco delle scie, viene interrotto da due chicane. La prima è la Mather’s Cross, che arriva comunque dopo oltre 1,5km a cannone, ed è stata costruita nel luogo dell’incidente fatale di Robert Dunlop, avvenuto nel 2008. L’altra, la Magherabuoy, è un brusco destra-sinistra dopo il quale ributtarsi in carena per arrivare a Portrush. Una volta in paese arriva la violentissima staccata per la Metropole, una curva a gomito a sinistra, indicata come uno dei punti preferiti dagli spettatori, insieme alla York Corner.
Si incontra quindi la destra di Church Corner e poi il passaggio sotto la ferrovia a Dhu Varren; da qui in avanti il “triangle” diventa un tripudio di saliscendi mozzafiato, da Black Hill, Juniper Hill, Quarry Hill, fino a tagliare il traguardo nuovamente di fronte al mare.
Team da SBK
Parcheggio ed entro nel paddock che, confrontato coi campi di tende infangati delle piccole National road race (come la Cookstown 100, la Armoy, la Skerries o la Tandragee 100), sembra roba da Mondiale SBK. Di certo la North West 200 è considerata la più “glam” tra le corse su strada, con sessioni di autografi, ombrelline e grossi sponsor. E, sia per questo, sia per le caratteristiche del tracciato, da sempre attira parecchi nomi della British Superbike. A dire il vero, viene anche snobbata da qualche purista, ma rimane comunque una tappa imperdibile per qualsiasi appassionato di road race almeno una volta nella vita.
Il paddock è un agglomerato di grossi truck marchiati Milwaukee BMW, Honda Racing, Buildbase Suzuki, fianco a fianco coi piccoli van dei privatissimi, provenienti da Inghilterra, Irlanda, Francia, Repubblica Ceca, Germania, Spagna e perfino dall’Italia.
Non per tutti
Come per ogni corsa su strada, per partecipare alla North West 200 non basta pagare l’iscrizione. Bisogna presentare un curriculum di un certo livello, che dimostri non solo di avere sufficiente esperienza in fatto di gare in moto, ma anche una preparazione specifica per quanto riguarda il road racing. Alla fine, comunque, la selezione per i piloti è molto più blanda rispetto a quella, severissima, del Tourist Trophy, per cui in griglia si possono trovare sia habitué del TT, sia gente che all’isola di Man non ha mai gareggiato.
Lo svolgimento dell’evento è a giorni alterni: si parte al martedì con una giornata di prove, si prosegue al giovedì con la mattina dedicata ancora alle qualifiche e il pomeriggio alle prime gare, per terminare con l’intera giornata di sabato per tutte le restanti gare.
Goduria e adrenalina: l’atmosfera della North West 200
Nei giorni liberi la zona offre una vasta scelta di attrazioni turistiche: le strane rocce delle Giant’s Causeway, la distilleria di Bushmill, il Dunluce Castle, il ponte di funi di Carrick-a-Rede. Tutti luoghi facilmente raggiungibili da chi non è impegnato a smaltire qualche sbronza, in particolare di birra, che da queste parti scorre a fiumi. Come è facile immaginare, trattandosi di una competizione in terra britannica, le serate che precedono i giorni di pausa sono infatti momenti di pura baldoria per tutti. Letteralmente.
Nell’atmosfera di festa dei pub di Portstewart e Portrush non ci sono solo spettatori e turisti, ma è facile trovare mescolati anche membri dei team e piloti stessi, capaci di tornare perfettamente lucidi e sul pezzo in poche ore anche dopo una serie di pinte di Guinness da tramortire un cavallo. La cosa che impressiona, comunque, è che qui è tutto così accessibile, così a portata di mano, che non è difficile scambiare quattro chiacchiere coi disponibilissimi piloti nel paddock, o addirittura berci una birra al pub la sera, per poi vederli sfrecciare in sella alle loro moto a meno di un metro di distanza da dove ti trovi. Così veloci e vicini da scompigliarti i capelli e stringerti lo stomaco per l’emozione.
Una buona organizzazione è fondamentale
Per godere pienamente di queste sensazioni, però, non bisogna scordare qualche regola fondamentale. La prima è senz’altro la programmazione precisa della propria giornata durante le prove o le gare, tenendo ben presente l’orario di chiusura delle strade. Meglio scegliere per tempo il punto in cui posizionarsi, in modo da arrivarci con largo anticipo e piazzarsi in una postazione comoda; una volta chiuse le strade, infatti, nella maggior parte dei casi è quasi impossibile spostarsi, per ore ed ore. Bisogna muoversi in tempo e adeguatamente riforniti di cibo e bevande. Ci sono chiaramente punti di ristoro lungo il tracciato, così come esiste anche qualche tribuna. Ma personalmente trovo sempre più interessanti i punti del circuito difficili da raggiungere, isolati e scomodi…
Un esempio? Lo scollinamento di Black Hill, un sinistra-destra in discesa che i piloti affrontano con l’anteriore a mezz’aria. E a Black Hill ci sono pochi posti e zero comodità. Spesso si tratta di farsi ospitare nel cortile di un’abitazione privata, sfruttando conoscenze o una buona dose di gentilezza; e non è raro trovare padroni di casa che, nel bel mezzo di una gara, escono pure a portarti una tazza di tè caldo.
In diretta da Black Hill
Così, appostata a Black Hill, mi godo il programma di gare del sabato, che quest’anno prosegue in modo incredibilmente liscio e con un meteo clemente nonostante il solito freddo. Superbike, Superstock, Supersport, Supertwin: le quattro categorie protagoniste della North West 200 danno tutte grande spettacolo, anche se le Superbike hanno sempre quella marcia in più – quella potenza che in una frazione di secondo ti mescola i pensieri, al punto che non sai più se ammirare il talento e il coraggio di questi piloti o chiederti perché lo stiano facendo davvero…
Giro dopo giro, le emozioni non si placano. Non ci si abitua mai a queste continue iniezioni di adrenalina, date dalla velocità, dalla vicinanza alle moto che ti sfrecciano davanti a velocità folli e dalla bagarre. Alla North West 200, a differenza del TT, la lotta non è contro il cronometro, ma sul tracciato, contro gli avversari, con tanto di sorpassi e controsorpassi come in una normale gara su pista. Con la differenza che qui le moto sfiorano muri, marciapiedi e pali della luce.
Bandiera a scacchi, cala il sipario
Quando la bandiera a scacchi sventola per sancire la fine dell’ultima gara, in lontananza si alza il fumo dei burnout, i motori vengono tirati al limitatore e le celebrazioni attorno al podio nel paddock hanno finalmente inizio. Non è solo il vincitore a festeggiare: già solo finirla, una gara così, è per molti un trionfo.
Noto che tra i tanti spettatori è presente Jonathan Rea. Non è strano: è appassionato di road race e nipote di uno dei primissimi sponsor di Joey Dunlop. Anche se in passato ha detto che non correrebbe al TT, pure lui è attratto dal fascino di queste gare, quantomeno da spettatore.
Raccolgo le mie cose, è ora di andare. Il tracciato si svuota. La gente abbandona le postazioni accompagnata dalle bandiere che sventolano ora più malinconiche, mentre il sipario cala su un’edizione davvero fantastica della North West 200.
Come ogni volta, si torna a casa con tante immagini adrenaliniche in testa, con emozioni indelebili e difficilmente descrivibili. Emozioni uniche che solo le corse su strada sono in grado di regalare, perché create da un mix tra un godimento motociclistico puro e una dolceamara sensazione di pericolo estremo. Ma le road race sono proprio questo, prendere o lasciare.