Il grande dilemma di chi vuole comprarsi una nuova naked da sparo: a parità di budget, meglio una supermedia con dotazioni top di gamma, o una maxi non troppo estrema? Per scoprirlo abbiamo preso una KTM 890 Duke R e una Suzuki GSX-S1000 e le abbiamo aizzate una contro l’altra…
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“Ehi, che diavolo c’entra una supermedia naked bicilindrica europea con una maxi quadricilindrica di scuola giapponese?” In effetti guardando le foto di questo articolo potrebbe venire il dubbio che la mattina che siamo partiti per questo test, qualcuno di noi, nella penombra del garage della redazione, abbia sbagliato a prendere la moto. KTM 890 Duke R e Suzuki GSX-S1000 appartengono a segmenti diversi, seguono filosofie diverse e usano schemi motoristici quasi agli antipodi. Perché le abbiamo messe una contro l’altra? Perché qualsiasi scusa andava bene per andare a consumare un po’ di saponette? Beh, certo, anche per quello. Ma in realtà c’è un elemento non marginale che accomuna queste due moto – e che dà un senso all’idea di farle confrontare. Indovinate? Ebbene sì, il prezzo.
Naked da sparo: le due protagoniste del test
Il fatto è che l’attuale offerta di questo genere di moto è diventata talmente ampia e variegata da consentire di scegliere tra modelli che, per caratteristiche, prestazioni, dotazioni e… prezzo, finiscono per “mettere le ruote” in altre categorie, proponendosi come alternative a mezzi che, in teoria, non dovrebbero essere paragonabili. È il caso delle due moto che abbiamo qui. Da una parte la KTM, una supermedia europea top di gamma, equipaggiata con un brillante bicilindrico tutto coppia, supportata da una ciclistica con spiccate attitudini sportive – che la rendono proponibile anche per l’uso in pista – e completata da optional ufficiali come lo scarico Akrapovic e un pacchetto elettronico con tutte le funzionalità possibili e immaginabili. Costo del tutto? Circa 14.238 euro (di cui 1.000 per il terminale con fondello in carbonio).
Dall’altra parte c’è la Suzuki, la tipica supernaked giapponese tutta potenza e… praticità. Spinta da un 4 in linea con badilate di cavalli, è una moto studiata per l’uso stradale, supportata da sospensioni valide, ma non particolarmente estreme nel set-up, e da un’elettronica efficace, ma abbastanza basica. Prezzo di listino? 13.390 euro, ovvero circa come la KTM senza l’Akra optional.
Dunque, meglio il top del lusso delle supermedie, o un’onesta, muscolosa bruciasemafori presa dal segmento delle maxi? Per scoprirlo abbiamo usato la nostra solita ricetta: un bel giorno in sella, dall’alba al tramonto, tra attraversamenti cittadini, guida in relax, percorrenze autostradali… arricchiti da immancabili tirate a cannone e momenti di sano teppismo sulle nostre strade da pieghe preferite. Mettetevi comodi, andiamo a divertirci con queste due naked da sparo…
Naked da sparo: Suzuki GSX-S1000
Quando Suzuki aveva annunciato l’arrivo di una nuova GSX-S1000, in tanti avevamo sperato che ad Hamamatsu si fossero finalmente decisi a ridisegnare da zero un modello che, inutile negarlo, iniziava a mostrare il peso degli anni – nell’aspetto come nei contenuti. Le linee completamente ridefinite della nuova GSX-S, in effetti, ci avevano fatto pensare che in Suzuki avessero lavorato sodo per proporci la loro prima vera interpretazione di ipernaked da sparo; senonché, quando erano state svelate le specifiche, avevamo scoperto che non era proprio come speravamo. Ergonomia rivista, elettronica più completa, aggiornamento del motore all’Euro 5, nuovo set-up delle sospensioni e… e basta. In pratica, a parte il restyling, l’ammiraglia naked di Casa Suzuki era rimasta in buona parte la moto che era prima. Cattiva notizia? Profonda delusione? Beh, dipende dalle prospettive.
Roadster pensata per un pubblico ampio
Iniziamo dicendo che il vero, grosso problema della vecchia GSX-S era che… sembrava proprio vecchia, quantomeno nell’estetica. Il nuovo design, nettamente più aggressivo, col doppio faro sovrapposto e le linee spigolose, potrà piacere o meno, ma di sicuro l’ha ringiovanita; mentre motore, ciclistica e dotazioni, tutto sommato, andavano bene già prima per quello che la GSX-S pretendeva di essere: una versione in chiave moderna della tipica supernaked giapponese, tutta muscoli, presenza e pochi fronzoli.
La Suzuki, dunque, era e rimane una roadster pensata per essere accessibile a un pubblico più ampio possibile: comoda e pratica, fa a meno di dotazioni che magari la renderebbero più affilata nella guida all’attacco, o sensata nell’uso in pista, pur di contenere il prezzo d’acquisto. Di fatto è la naked da sparo a cilindrata piena più economica attualmente in commercio, ma il punto è: quante rinunce comporta tutto questo in termini di velocità e divertimento nella guida stradale?
Parcheggiata vicino alla magrissima KTM, è subito evidente come la Suzuki appartenga a un’altra categoria – sembrano un levriero denutrito accanto a un bulldog palestrato. Già di suo la giapponese è più bassa e tozza della Duke, e come non bastasse l’ingombro del grosso 4 in linea, avvolto dal telaio a doppio trave in allumino, riempie ogni spazio da ruota a ruota, contribuendo a dare all’insieme un aspetto ancor più massiccio.
Suzuki GSX-S1000: in sella
La cosa curiosa è che una volta in sella, la GSX-S non è per nulla burbera o aggressiva come il suo aspetto da buttafuori psicopatico farebbe intendere. Ci sali, parti e noti quel fare amichevole che ti accoglie e ti mette subito a tuo agio; che si tratti di sgattaiolare nel traffico urbano, o di lanciarti ginocchio a terra davanti al fotografo con le gomme appena tiepide. La posizione di guida è estremamente naturale, con la sella bassa e ampia, il manubrio più largo e ravvicinato rispetto a prima, e le pedane non particolarmente rialzate, che ti fanno sentire comodo e in controllo allo stesso tempo.
In realtà la Suzuki è sempre stata una moto ben più facile e immediata di quanto non suggerisse la sua scheda tecnica, ma ora queste caratteristiche sembrano ancora più spiccate – un po’ per la nuova ergonomia, un po’ per la risposta più dolce del gas ride by wire.
A dirla tutta, il fastidioso effetto on-off che affliggeva le vecchie GSX-S non è del tutto scomparso, E ciò significa che all’inizio dovete un po’ abituarvi a essere delicati col polso destro nelle riaperture dal tutto chiuso. Ma quantomeno ora l’elettronica mette a disposizione tre mappature tra cui scegliere: quella più soft, obiettivamente, non è il massimo per l’uso sportivo, ma per la guida di tutti i giorni va bene, e soprattutto, fa quasi del tutto scomparire il problema dell’on/off.
Il motore
Parlando del motore, la cartella stampa Suzuki dice che sono state effettuate varie modifiche, oltre che per adeguarlo all’Euro 5, per renderlo più pieno ai bassi e ai medi. Se devo essere sincero, senza un confronto diretto non saprei dire se e quanto sia effettivamente migliorata l’erogazione, ma il succo della questione non cambia: il 999cc di derivazione Gixxer K5 rimane un propulsore spettacolare per qualsiasi tipo di utilizzo stradale.
Nei nostri rilevamenti ha superato di poco i 140cv alla ruota, ma la potenza agli alti è solo la punta dell’iceberg. Sono la schiena ai medi e la prontezza ai bassi, quasi incredibili per un 4 in linea a fasatura “normale”, unite alla classica elasticità dei plurifrazionati, che rendono la Suzuki un vero piacere sia per trotterellare sottocoppia nella guida disimpegnata, sia per ristabilire le gerarchie col vostro collega che sta violentando un tratto di misto sulla KTM. Semplicemente, aprite il gas e avrete tutta la spinta e la potenza che possiate desiderare per fare qualsiasi cosa.
La ciclistica
E per quanto riguarda la ciclistica? Le sospensioni meno raffinate (e il peso extra) della Suzuki la penalizzano nella guida sportiva rispetto alle pregiatissime WP della 890 R? Mettiamola così: la differenza si sente, ma ai ritmi praticabili su strada, non costituisce un reale problema. Per cominciare, se è vero che la GSX-S fa segnare oltre 20kg di peso in più rispetto alla KTM, grazie al baricentro bassissimo riesce a far passare la cosa abbastanza in secondo piano. Quella che ne risulta è una guida diversa, sicuramente meno reattiva e concitata, ma non per questo meno veloce.
Suzuki GSX-S1000 nella guida all’attacco
Quando si comincia ad alzare il ritmo, ciò che impressiona sulla Suzuki è la maniera in cui, mentre la strapazzate per tenere testa alla Duke, riesce a mantenere circa lo stesso aplomb e la stessa imperturbabilità di quando andate a passeggio. Di sicuro la GSX-S non sarà la naked da sparo più fulminea negli ingressi o più reattiva nei cambi di direzione, soprattutto a confronto con una scheggia degli spazi stretti come la KTM, ma richiede giusto un po’ di lavoro in più col fisico.
Per il resto, è davvero gradevole il modo in cui la Suzuki vi fa sentire sempre al sicuro; con un avantreno ben piantato a terra, una grande stabilità anche sugli asfalti non perfetti e, più in generale, quel senso di facilità e confidenza che vi porta a darci dentro in scioltezza anche su curve che non conoscete. Per dare l’idea, credo che la GSX-S sia in assoluto la maxi con cui è più facile consumare saponette su strada, e anche se sono sicuro che il baricentro e le pedane basse aiutino in questo senso, direi che è proprio il feeling trasmesso da tutto il pacchetto a fare la differenza.
Naked da sparo: i limiti della GSX-S1000 rispetto alla 890 Duke R
Detto che anche i freni non sono male (il mordente iniziale è un po’ morbido, tipicamente da naked giapponese, ma poi la potenza è quella che serve per la guida all’attacco) e che il quickshifter con blipper funziona sempre rapido e preciso, resta da parlare dei limiti della GSX-S rispetto alla Duke, che sono fondamentalmente due: le gomme di primo equipaggiamento e un’elettronica un po’ basica nelle funzionalità, peraltro visualizzata su un display LCD che fa quasi tenerezza a confronto col TFT della KTM.
Per quanto riguarda i pneumatici, abbiamo delle Dunlop RoadSport 2. Coperture create appositamente per la GSX-S, ma onestamente troppo turistiche e non all’altezza delle potenzialità di una moto di questo tipo. Il grip al posteriore, in particolare, è ai minimi sindacali considerando la cavalleria del motore, e questo fa sì che se volete andare forte con l’elettronica attivata, anche al minimo, il TC finirà per intervenire più frequentemente di quanto vorreste, impedendovi di fare strada (e di tenere il passo della KTM) in uscita di curva finché la moto non è completamente dritta. Certo, si risolve spegnendo tutto, ma complice la risposta diretta del gas nelle mappature più aggressive e il poco grip del posteriore, occorre comunque fare attenzione, o oltre certi ritmi gli accenni di derapata diventano una costante, più che un’eccezione.
Suzuki GSX-S1000: ABS e doti impennatorie
Un discorso simile vale per l’ABS, che tende a farsi un po’ troppo ansioso quando si sommano staccate belle tirate e asfalti irregolari, mentre concedetemi almeno un cenno alle non brillantissime doti da hooligan della GSX-S. Non credo sia un problema di motore, visto quanto è potente e fluido nell’erogazione, quanto di disposizione dei pesi, col baricentro basso e l’avantreno molto piantato, che da una parte sono i motivi della grande stabilità della moto, dall’altra costituiscono un freno per le attitudini impennatorie.
Ciò significa che per sollevare la ruota anteriore sulla Suzuki bisogna impegnarsi molto più di quanto vi aspettereste su una naked da sparo da 140cv. Per cominciare bisogna disattivare il TC (visto che non è separato dall’anti impennata) dopodiché, se è vero che in prima non ci sono grossi problemi, già in seconda occorrono una bella frustata di frizione e una tirata di braccia per ottenere decolli decorosi. Il tutto mentre il collega sulla KTM vi passa in monoruota direttamente in terza…
Naked da sparo: KTM 890 Duke R
Se abbiamo detto che filosoficamente la GSX-S1000 rappresenta l’interpretazione attuale della classica supernaked giapponese “vecchia scuola”, la 890 Duke R è quanto di più moderno e raffinato si possa trovare nel campo delle supermedie – nei concetti come nei contenuti.
Come per la Suzuki, le linee sono appariscenti e fuori dall’ordinario, quindi anche in questo caso il design potrebbe non mettere d’accordo tutti. Ma mentre la giapponese impressiona per la sua presenza muscolosa e “abbondante”, l’austriaca è talmente succinta e minimale, col suo compattissimo bicilindrico parallelo LC8 e un telaio in tubi d’acciaio che, non fosse arancione, nemmeno si noterebbe, da sembrare ancora più anoressica di quanto non sia in realtà. Se devo essere sincero, non sono proprio sicuro che questo sia un pregio. Tempo fa sono stato in una concessionaria KTM e, vedendole da lontano, ci avevo messo un po’ per distinguere una 890 R dalla Duke 390 che aveva accanto. E, per quanto mi riguarda, non vorrei spendere oltre 13.000 euro per poi ritrovarmi nel parcheggio del locale modaiolo con una moto che qualcuno potrebbe scambiare per una entry level.
Le dotazioni
Detto questo, se a differenza del sottoscritto non siete di quelli che amano ostentare, le dotazioni della Duke sono da vera top di gamma. Abbiamo sospensioni WP Apex completamente regolabili, freni Brembo da race replica (pinze Stylema, pompa radiale MCS e dischi da 320mm), gomme strada-pista Michelin Power Cup 2 e un pacchetto elettronico, in parte disponibile come optional, che farà anche salire il prezzo della KTM a livello di quello della GSX-S, ma che a confronto fa sembrare la tecnologia della Suzuki basica come il suo display LCD.
Se dunque la 890 R offre di serie gas ride by wire, piattaforma inerziale a 6 assi, traction control, quickshifter in salita, ABS cornering, tre riding mode e cruscotto TFT a colori, con l’optional Tech Pack (da 749 euro) ottenete blipper in scalata, controllo della coppia motrice in rilascio, launch control e un’ulteriore mappatura, denominata Track, con 9 livelli di TC e la possibilità di scegliere fra tre risposte dell’acceleratore e di spegnere separatamente l’anti impennata. Inutile dire che questo pacchetto di optional vale assolutamente la spesa, visto che trasforma la Duke R da una “semplice”, ottima supermedia, in una raffinatissima arma da battaglia – non solo per la strada, ma potenzialmente anche per la pista.
KTM 890 Duke R: in sella
Molto bene, ma tutte queste dotazioni, una volta in sella, in cosa si traducono? Beh, per farla semplice, salire sulla 890 R dopo aver guidato la Suzuki è come passare dal giorno alla notte – o viceversa. Sulla KTM, per cominciare, l’ergonomia è completamente differente: si ha la sensazione di essere seduti “sopra” alla moto, invece che “dentro”, come sulla GSX-S. La Duke è più alta, più sostenuta, più “racing”, con una postura vagamente motard che da fermi non rende così semplice poggiare bene entrambi i piedi a terra, e una volta in movimento richiede un certo periodo di adattamento prima di trasmettere la giusta confidenza.
Se sulla Suzuki abbiamo detto che bastano tre curve per sentirsi completamente padroni del mezzo, sulla KTM nelle stesse tre curve vi starete chiedendo se a Mattighofen non abbiano sbagliato qualcosa nel definire le geometrie della Duke – che sembra tutto tranne che un mezzo con cui potrete mai andare d’accordo. Ma per fortuna è solo questione di fare la mano alla strana ergonomia da naked/motard della KTM – e quando ci riuscite, inizia il divertimento.
Motore
Partiamo dal motore. Nei nostri rilevamenti al bicilindrico parallelo da 890cc mancano oltre 25cv alla ruota rispetto al 4 in linea Suzuki – un’enormità. Ma fidatevi se dico che nel 70-80% dei contesti delle nostre strade da pieghe, faticherete ad accorgervi del gap. Anzi.
Sarebbe facile porre l’accento sull’ovvia coppia ai bassi del propulsore KTM, ma in questo caso a fare la differenza sono la raffinatezza dell’iniezione, la fluidità dell’erogazione e la naturalezza con cui l’elettronica vi consente di gestire il tutto. Grazie a una risposta al gas praticamente perfetta, la Duke R si muove alle basse velocità senza strattoni o sussulti, persino a 3.000 giri – regime non proprio banale per un bicilindrico. Il che, unito a sospensioni abbastanza indulgenti nella prima parte della corsa, rende la 890 R più proponibile di quanto direste per l’uso nel Mondo Reale. Certo, la comodità e la familiarità della Suzuki sono su un altro livello, ma alla fine pure la KTM, anche con le sue stranezze e le sue attitudini racing, non sembra così fuori luogo nel traffico e nei contesti urbani.
Il motore nella guida all’attacco
Detto questo, è quando si comincia a fare sul serio che emergono le migliori doti del motore austriaco. Quello che impressiona è la trattabilità; prontissimo ma allo stesso tempo dolce nel rispondere ai vostri comandi, dai 5.000 ai 10.000 vi mette a disposizione un crescendo di spinta e velocità, che rende estremamente facile tenere alti i ritmi (e azzerare il vantaggio di cavalleria della Suzuki nel misto) senza quasi utilizzare il cambio.
Alla fine la GSX-S riesce a scappare solo dove ci sono rettilinei abbastanza lunghi, o il percorso è abbastanza aperto da consentirle di stendere bene le marce. Ma finché le curve sono un po’ più lente e ravvicinate, la coppia del bicilindrico austriaco, unita alla leggerezza del pacchetto, rende abbastanza facile tenere a bada l’avversaria giapponese.
Naked da sparo: alla guida della KTM 890 Duke R
Per quanto riguarda la guida, il discorso si fa un po’ più complesso. La Duke è caratterizzata da un baricentro alto, un’agilità impressionante, una ciclistica affilata e freni molto potenti. Quello che ne risulta è una guida completamente diversa da quella della GSX-S, più aggressiva, svelta, reattiva… e di conseguenza anche più concitata. Laddove sulla giapponese vi trovate ad andare forte nel misto tra traiettorie tonde, discese in piega progressive e uscite di curva senza particolari show da parte dell’avantreno, sulla KTM ogni vostro input sembra venire eseguito nella metà del tempo, tra ingressi in curva fulminei, cambi di direzione in un battito di ciglio e uscite di curva che, tra la spinta immediata del bicilindrico, il grip delle Michelin Power Cup 2 e la possibilità di disattivare l’anti impennata senza spegnere il TC, si trasformano in continue istigazioni al teppismo.
Non fraintendete però, non sto dicendo che strapazzare la Duke nel misto sia più impegnativo che farlo sulla GSX-S. È che la KTM è più rapida e pronta nelle reazioni; ma per fare che sì che questo si trasformi effettivamente in maggior velocità, serve un po’ più di esperienza da parte di chi sta in sella. Sulla Suzuki, per dire, si può andare forte senza uscire troppo dalla propria comfort zone. Sulla KTM, invece, guidare rimanendo sempre in comfort zone significa perdersi buona parte del divertimento di cui è capace.
KTM 890 Duke R: difetti
Difetti? Poca roba onestamente. A parte l’ergonomia strana (che sfavorisce i corti di gamba e, in genere, i neofiti molto più che sulla Suzuki) forse il cambio elettronico non brilla per precisione in scalata, con una leva un po’ dura. Mentre il motore, a voler proprio cercare il pelo nell’uovo, a volte sembra talmente “perfettino” nella dolcezza di risposta e nell’educazione con cui vi mette a disposizione le sue grazie, che qualcuno potrebbe definirlo poco eccitante.
Ma a parte questo, KTM ha fatto davvero un piccolo capolavoro con la 890 R. Una supermedia con contenuti da maxi, capace di prendere i migliori pregi delle due categorie e coniugarli in un pacchetto sotto molti aspetti unico nell’attuale panorama motociclistico.
Naked da sparo, GSX-S1000 vs 890 Duke R: conclusioni
Il dato a nostro parere più interessante emerso da questo testa a testa è la conferma di quanto sia variegata oggi la scelta nel campo delle naked da sparo. Spendendo circa la stessa cifra potete infatti portarvi a casa due moto che, nella nostra prova, si sono dimostrate entrambe valide, ma in modi completamente diversi. Da una parte abbiamo la Suzuki GSX-S1000, una massiccia e muscolosa maxinaked che interpreta alla perfezione il ruolo della nuda giapponese tutta cavalli, praticità e modi relativamente educati. Dall’altra c’è la KTM 890 Duke R, una supermedia leggera e guizzante che sacrifica un po’ di indulgenza nei confronti dei piloti non troppo esperti, in favore di una guida così affilata, aggressiva e reattiva da farvi venire voglia di portarla quanto prima in pista.
Naked da sparo: la nostra preferita
Se avete letto fino a qui probabilmente avrete intuito quale delle due sia stata la nostra preferita. La KTM, con quella sua innata indole giocosa e teppistica, supportata da uno dei migliori bicilindrici paralleli che abbiamo mai provato, ha avuto gioco facile nel solleticare le nostre corde di smanettoni che, oltre alla velocità tra le curve, amano il divertimento – e, in generale, le moto che vi invogliano sempre a fare cose stupide.
Naked da sparo: a voi la scelta
Certo, la Duke non è per tutti con la sua ergonomia un po’ “particolare”. Se siete alle prime armi potrebbe traumatizzarvi con la sua aggressività nella guida all’attacco. E magari non siete nemmeno interessati al fatto di poter impennare a comando all’uscita da qualsiasi curva. In questo caso potreste trovarvi più a vostro agio con la GSX-S1000, che nonostante un motore dalla potenza esorbitante, nel misto riesce sempre a mantenere un aplomb insospettabile, permettendovi di andare forte in relativo relax, mentre il vostro compare sulla 890 R divora le curve con gli occhi iniettati di sangue.
La Suzuki è anche più pratica per l’uso nel Mondo Reale e, a differenza della KTM, fa capire di essere una moto grossa e cazzuta fin dal primo sguardo. Quale scegliere? Vi abbiamo dato tutti gli elementi per non sbagliare. A noi sono piaciute entrambe, ma per l’ultimo giro prima di consegnarle, le prime chiavi a sparire sono state quelle della KTM…