Il ventiquattrenne spagnolo quest’anno ha agguantato la sua prima vittoria in MotoGP ed è costantemente tra i piloti più veloci della classe regina. Il nostro Lore lo ha incontrato per capire un po’ meglio chi è Alex Rins, dentro e fuori dalla pista

Testo: Lore Foto: Suzuki Racing

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Nato a Barcellona, classe 1995, sguardo allegro, capelli ribelli e animo pacato: è Alex Rins, il numero 42 che con la GSX-RR è ormai diventato una presenza fissa nella lotta per le posizioni che contano in MotoGP. Un tipo che bada al sodo e che non si perde in chiacchiere, tanto che quando lo incontro per la prima volta nell’hospitality Suzuki, l’impressione iniziale è quella di un tipo freddo, impostato, non troppo disponibile.

Quando però iniziamo a scambiare qualche battuta prima di iniziare l’intervista vera e propria, capisco che Alex è semplicemente un ragazzo diverso da certi istrioni che dominano la scena mediatica del motomondiale, più timido e riservato. E allo stesso tempo è anche estremamente concentrato sul suo mestiere di pilota e sui suoi obiettivi, cosa evidente dallo sguardo e dall’atteggiamento con cui mi racconta di com’è andato questo 2019 sin qui.

I buoni piazzamenti delle prime due gare, poi la clamorosa prima vittoria ad Austin seguita subito dopo dal secondo posto di Jerez: risultati che lo avevano messo al centro della scena, tanto da far parlare qualcuno di un possibile, inaspettato pretendente al titolo. E anche se nelle gare successive non è riuscito a salire sul podio, sono stati solo i due zeri raccolti ad Assen e al Sachsenring ad allontanarlo dal secondo posto in campionato dietro all’apparentemente imprendibile Marc Marquez. Ma la lotta con Dovizioso e Petrucci è ancora più che aperta.

Dunque, archiviati i convenevoli, inizio con le domande dirette, in particolare cercando di capire un po’ meglio chi è Rins una volta svestiti tuta e casco da pilota.

Oggi qualunque appassionato sa chi c’è dietro il numero 42 in pista. Ma lontano dai cordoli che ragazzo è Alex Rins? E com’è stato il tuo inizio su due ruote?

“Alla fine sono un ragazzo come altri, un tipo tranquillo a cui piace stare con gli amici e vivere una vita normale. In realtà il mio primo approccio con i motori è stato a tre anni su un quad. La prima moto, invece, era una 50cc da cross e l’ho avuta a sei anni: mi allenavo su un tracciato vicino a casa… da lì ho abbandonato il quad e non ho più smesso di andare in moto.”

Il tuo numero di gara ha un significato particolare? Se sì, ce lo puoi raccontare?

“Quando ho iniziato a correre da piccolo, nel motocross, avevo il numero 14. Poi quando sono passato alla velocità ho messo il 24 sulla carena, ma nel 2008 quel numero non era disponibile, così ho deciso di invertire le cifre e farlo diventare un 42. E proprio in quella stagione mi ha portato fortuna, perché ho ottenuto da subito dei bei risultati nei campionati 125 in cui correvo, così da allora non l’ho più cambiato.”

Allora sei un tipo scaramantico… Hai qualche rituale che segui durante il weekend o prima della gara?

“Sì sono un po’ superstizioso, credo come molti. Ad esempio prima di salire in moto metto sempre il guanto destro dopo il sinistro, oppure arrivo nel box sempre alla stessa ora… e poi ci sono tanti altri piccoli gesti scaramantici che ripeto sempre durante il weekend.”

Durante la tua carriera, c’è stato un momento in particolare in cui hai realizzato di avere il potenziale per arrivare fin qui?

“Sinceramente credo che sia stato quando sono arrivato al mondiale, nella mia prima stagione in Moto3 nel 2012. Ricordo anche che è stato in quel periodo che ho iniziato a pensare ‘ok, se voglio davvero fare questo, è ora che inizi a essere professionale e a dedicarmici al 100%’. È stato un passo fondamentale, uno step in più di testa.”

Nella prima metà del 2019 sei stato di gran lunga il pilota con il maggior numero di sorpassi effettuati. Pensi sia più colpa di qualifiche non perfette, o merito della tua abilità nella bagarre?

“Purtroppo il fatto è che fin dalle prime prove del venerdì abbiamo spesso un bel ritmo, e quasi sempre sappiamo che sarà anche il nostro passo in gara. Magari un po’ meglio o un po’ peggio, ma non ci allontaniamo mai più di tanto. Fare un giro alla morte però è una cosa un po’ diversa, ci manca ancora qualcosa e stiamo soffrendo un po’. C’è di buono che arrivo sempre in gara con la voglia di recuperare posizioni il prima possibile, anche perché so di poter lottare per stare là davanti, così con il ritmo e la motivazione riesco a passare diversi piloti.”

Qual è il tuo punto di forza nella lotta corpo a corpo, quello che usi più spesso per sorpassare?

“È difficile da spiegare, perché quando sei lì mentre stai già tirando fortissimo cerchi continuamente di trovare qualche posto dove è possibile passare, qualche spazio per andare davanti. Poi alla fine molte volte è la staccata a essere determinante, e lì credo di essere davvero forte, soprattutto nel portarla fin dentro la curva. Ed è questo che fa la differenza.”

Personalmente di te mi colpisce lo stile unico che hai in sella. Rispetto ad altri piloti sembri una versione moderna di Mick Doohan. Ti ha mai creato problemi o dato dei vantaggi questo tuo modo di guidare?

“Hai ragione, la mia guida è un po’ diversa dagli altri, soprattutto se si prende come riferimento Marquez. Marc sta con il corpo più basso sulla moto, con una posa più aggressiva, più cattiva anche da vedere, e da fuori capisco che possa sembrare che la mia posizione mi faccia andare più piano. Poi però i tempi sono sempre arrivati, perciò direi che la cosa non mi ha mai rallentato o portato nulla di male.”

E avendo citato un grande campione del passato, ora mi piacerebbe sapere quali sono stati gli idoli motociclistici di Alex Rins…

“Se devo essere sincero, prima di iniziare con le moto non seguivo le gare. Ma anche se non correva più già da molto tempo quando ho iniziato, a pensarci mi è sempre piaciuto tanto Kevin Schwantz, sia perché era forte, sia per com’era fuori dalla pista. Dei piloti in attività, però, Valentino era il riferimento per tutti. Era praticamente naturale tifare per lui, anche perché quando ho iniziato a guardare le gare era ancora la sua epoca d’oro.”

In Texas, quando hai vinto la tua prima gara in MotoGP, hai battuto proprio Rossi. Come sono stati quegli ultimi giri a Austin contro una leggenda? A cosa hai pensato?

“Davvero non so cosa ho pensato, perché quando finisce una gara non mi ricordo molto di quello che mi è passato per la testa. Però ricordo che ero un po’ nervoso, specialmente a 3-4 giri dalla fine quando l’ho sorpassato, perché sapevo che avrebbe provato a passarmi di nuovo. Lui ha tanta esperienza in queste situazioni, ma io mi sentivo bene in sella e ho provato a spingere al massimo per aprire un po’ di distacco. Ed è stato anche per questo che poi, all’ultimo giro, quando mi ha recuperato parecchio, non ha potuto attaccarmi. È stata davvero una bella battaglia.”

Sempre a Austin, tra l’altro, avevi vinto anche la tua prima gara in Moto3 e ottenuto il primo podio in Moto2. È la tua pista preferita? E ce n’è una che proprio non sopporti?

“No, mi piacciono praticamente tutte le piste e posso andare forte dappertutto. Certo, poi a volte capita di non riuscire a essere veloci, come ad esempio quest’anno a Le Mans, ma in generale non mai è una questione di come mi trovo io su quella pista.”

Cambiando completamente argomento, quali sono i tuoi passatempi? Oltre agli allenamenti, pratichi altri sport?

“Beh l’allenamento è una parte fondamentale del mio tempo, ma come hobby vero e proprio faccio trial. È completamente diverso dalla pista e non è così comune tra i piloti, ma a me piace tantissimo andare per boschi con la mia moto da trial.”

Ho letto che ti piacciono anche le auto, in particolare i rally e i campionati GT. Ma sei uno di quelli che vanno forte anche su quattro ruote?

“Le auto mi piacciono molto, direi che è una vera passione. Seguo le quattro ruote in TV, ma appena posso cerco anche di mettermi al volante. Lì in Andorra, dove vivo, c’è un piccolo circuitino e ogni volta che riesco salgo in macchina e provo qualche giro. Ho anche partecipato alla 500 Chilometri di Aragon in macchina. Anzi, direi che in futuro, se capitasse l’occasione giusta, mi piacerebbe provare a correre davvero su quattro ruote. Per ora però è presto, ho ancora da concentrarmi sulle moto.”