Abbiamo incontrato Franco Morbidelli, campione Moto2 2017 e Rookie of the Year MotoGP 2018, per una chiacchierata sui suoi inizi, sul suo presente e su come ci si senta a essere il primo pilota della VR46 Riders Academy a essere approdato nella massima categoria del motociclismo
di: Angelo Acosta – Foto: Monster Energy Media
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Classe 1994, riccioli ribelli, un sorriso per tutti e una gran manetta: è Franco Morbidelli, Campione del Mondo Moto2 2017, che ha concluso la sua prima stagione in MotoGP sulla Honda del team Marc VDS, ottenendo l’ambito riconoscimento di Rookie of the Year. Non tutti ricordano, tra l’altro, che già prima di entrare a far parte del dorato mondo del motomondiale, Morbidelli aveva conquistato un titolo internazionale, quello di Campione Europeo Superstock 600 del 2013, conquistato in sella a una Kawasaki Ninja. Pur giovanissimo, non si può certo dire che il ragazzo manchi d’esperienza. E per la prossima stagione ad aspettarlo c’è una delle due Yamaha M1 “quasi ufficiali” del nuovo team Petronas.

Franco, prima di tutto facciamo un passo indietro. Com’è stato passare da una Stock 600, una moto da corsa strettamente derivata dalla serie, a un prototipo come quelli che corrono in Moto2?

“Beh a dirla tutta io sono stato fortunato, perché prima di partecipare a una stagione intera con Italtrans nel 2014, il Team Gresini mi aveva dato la possibilità di correre tre gare in Moto2 alla fine della stagione 2013, aiutandomi parecchio a prendere confidenza con la nuova realtà. Comunque sia è stato difficile, più che altro per arrivare al livello degli altri, perché di base era già quello a cui ero abituato. In fondo è con dei prototipi che ho iniziato la mia carriera: sono salito per la prima volta una 125 GP quando avevo 11 anni. Alla fine la cosa più complicata è stata imparare i tracciati che non conoscevo.”

 

Credi che tua esperienza nella Stock 600 ti abbia aiutato in qualche modo nell’approccio alla Moto2 motorizzata Honda CBR, rispetto ai piloti che arrivavano dalla Moto3?

“No, non direi. Le derivate di serie e i prototipi sono due mondi molto diversi, anche in una classe come la Moto2 che usa motori stradali preparati. Credo che semmai sia la Moto3 la miglior categoria dove crescere prima di arrivare in Moto2, e allo stesso modo la Moto2 è il campionato che meglio ti prepara alla MotoGP. Arrivare da un percorso diverso, al contrario, può creare qualche difficoltà in più.”

Cos’hai provato quando ti sei trovato per la prima volta sulla griglia di una gara di MotoGP, in attesa che il semaforo rosso si spegnesse?

“Stavo bene, ero tranquillo. In fondo era solo una gara, una nuova gara. Ero solo concentrato sul dare il meglio che avrei potuto. Certo, la moto era molto più potente di quelle a cui ero abituato, ma in fondo in quel momento è un dettaglio. È stato un momento intenso, certo, ma intenso come quel genere di attimi lo è sempre, in qualsiasi gara.”

Hai incontrato qualche difficoltà in particolare in questo tuo primo anno in MotoGP?

“Vere e proprie difficoltà no, ma questa stagione è stata preziosissima per comprendere quanto sia importante lavorare bene sull’elettronica. In particolare, essendo la nostra una moto satellite, siamo piuttosto legati a quanto viene fornito e indicato da Honda. È la filosofia HRC e ci va bene così. Il fatto però è che il team ufficiale ha un diverso livello di autorizzazione da Magneti Marelli (il fornitore della centralina unica per le MotoGP – N.d.r.), così possono intervenire più a fondo sul set-up. Noi abbiamo determinati strumenti e determinati range di regolazione, e non possiamo andare oltre. ”

“D’altro canto questo genere di differenze tra un team factory e uno satellite è normale: loro devono avere la libertà di poter provare cose nuove e spingersi oltre per migliorare la moto. E da un certo punto di vista può essere anche un bene: di certo noi non possiamo prendere una direzione sbagliata e incasinare le cose.”

Sappiamo tutti che sei uno dei piloti della VR46 Riders Academy, tra l’altro il primo ad approdare in MotoGP. Ma com’è iniziato il tuo rapporto con la struttura di Valentino?

“Beh, in realtà conoscevo Valentino prima che creasse la Academy. Mi sono trasferito a Pesaro con mio padre quando avevo 10 anni perché è quella la zona d’Italia dove un pilota può trovare più opportunità. Mio papà e Graziano Rossi si conoscevano già da tempo perché avevano corso insieme, così dopo qualche tempo gli abbiamo chiesto se avrei potuto allenarmi con Valentino e da lì è iniziato tutto: avevo 12 anni. Non so, credo abbia visto qualcosa in me, perché da qualche sessione in pista i nostri allenamenti assieme sono diventati sempre più frequenti e poi si sono spostati anche fuori dalla pista, in palestra. Poi è nata la Academy, sono arrivati tutti gli altri ragazzi e… eccoci qui.”

A quei tempi, quando iniziavi ad allenarti con Valentino a 12 anni, sognavi che un giorno avresti corso contro di lui?

“No, non è mai stato il mio sogno. Non è nel mio carattere: mi è sempre piaciuto vivere il presente e dare il massimo con quello che ho, senza preoccuparmi troppo del futuro. Ovvio, in una piccola parte nascosta della mia testa c’è sempre stata quella magnifica idea di poter arrivare un giorno in MotoGP, ma non ne sono mai stato ossessionato. Ho solo cercato di essere il miglior pilota che potevo essere giorno dopo giorno.”

C’è un consiglio in particolare che ti ha dato Rossi che è stato utile nella tua carriera?

“Non saprei citarne uno in particolare. Mi ha dato così tante dritte durante tutta la mia carriera e mi ha insegnato talmente tante cose, anche solo passando del tempo con lui, senza necessariamente dire cosa avrei dovuto o non dovuto fare, che per me è impossibile sceglierne uno così, su due piedi.”

E quale consiglio daresti tu ai giovanissimi piloti che oggi sognano di arrivare dove sei tu? Verso quale categoria li indirizzeresti?

“Credo che sia un po’ il sogno di tutti i ragazzini arrivare in MotoGP. Non è facile e ci sono un’infinità di cose che devono incastrarsi nel verso giusto, ma il mio consiglio in questo senso è di iniziare sin dalle categorie più piccole da questo lato del motorsport, dunque nei prototipi. Il primo grande obiettivo poi può essere la Red Bull Rookies Cup, che è supercompetitiva e offre davvero tanta visibilità ai ragazzi più veloci.”

Per concludere, sei soddisfatto della tua prima stagione in MotoGP?

“Sì, sono contento. È stata una stagione difficile, perché abbiamo faticato tanto, ma alla fine con la costanza e con il grande lavoro che abbiamo fatto siamo riusciti a portare a casa abbastanza punti per conquistare il titolo di Rookie of the Year. È qualcosa di importante per me ed è importante per la squadra. Penso che sia il modo migliore per salutare la Marc VDS”.